Vescovi indiani: ‘molto preoccupati' per le quote alle caste alte

L’Ufficio per i dalit e i tribali della Conferenza episcopale indiana critica l’atteggiamento di due pesi e due misure nel “garantire la giustizia sociale in India”. I dalit cristiani e musulmani chiedono il diritto di essere inclusi negli elenchi delle caste svantaggiate fin dal 1950. Cambiano i vertici della Conferenza dei vescovi di rito cattolico: al posto del card. Oswald Gracias, mons. Filipe Neri Ferrao.


New Delhi (AsiaNews) – I vescovi cattolici dell’India sono “spiacenti” per la legge approvata questa settimana dal Parlamento indiano che riserva posti di lavoro e nelle scuole alle caste alte della popolazione. Lo afferma una nota ufficiale diffusa ieri dall’Ufficio per le caste svantaggiate e i tribali della Conferenza episcopale indiana (Cbci), a firma del segretario nazionale p. Z Devasagayaraj. I prelati dichiarano di essere “molto preoccupati per la rigida divisione in due parti nel garantire la giustizia sociale in India”. Secondo loro, i “deboli dal punto di vista economico”, cui sono dedicate le nuove quote del 10% previste dal governo, “non sono mai stati afflitti [dalla discriminazione] del sistema delle caste”. Per questo, chiedono che “gli stessi vantaggi vengano offerti anche ai dalit cristiani e musulmani”.

Le gerarchie cattoliche intervengono sul tema delle quote riservate ai poveri delle caste elevate, che sta suscitando un ampio dibattito nel Paese. Esse lamentano che la legge “è stata presentata in Parlamento senza nessuno studio scientifico sui settori economicamente deboli”. L’Ufficio sottolinea che in India già esistono programmi, schemi e borse di studio riservate alle fasce povere della popolazione. Ciò nonostante, “il governo ha voluto approvare la legge in maniera frettolosa”. Per questo “siamo spiacenti che il governo non abbia mai mostrato la stessa attenzione per cristiani e musulmani di origini dalit, e di fatto li ha discriminati in nome della religione”. Questi ultimi chiedono il diritto di essere inclusi negli schemi riservati fin dal 1950, quando è stato promulgato l’Ordine presidenziale a tutela dei dalit indù, buddisti e sikh, che esclude invece i convertiti al cristianesimo. I cristiani e i musulmani di origini dalit, affermano i vescovi, “continuano a sperimentare sulla propria pelle lo stigma dell’intoccabilità, e sono svantaggiati dal punto di vista educativo e sociale tanto quanto i dalit indù”.

Nel corso degli anni si sono susseguite varie commissioni nazionali che hanno espresso in maniera chiara la necessità di inserire i fuori casta cristiani e musulmani nei programmi di tutela del governo. L’ultima in ordine temporale è la National Commission for Religious and Linguistic Minorities (Ncrlm) del 2007, che dichiara: “La non inclusione di cristiani e musulmani di origine dalit negli elenchi delle caste dalit è una discriminazione basata sulla religione e va contro la Costituzione”. Secondo i vescovi, si tratta di “una vera ingiustizia sociale, nonostante tutte le raccomandazioni delle commissioni e gli studi scientifici”. Per questo, afferma la nota in conclusione, “chiediamo al primo ministro dell’India [Narendra Modi], di approvare una legge che comprenda i cristiani e musulmani dalit nelle liste delle caste dalit, e di aumentare le quote di posti riservati alle caste svantaggiate e ai tribali, in modo proporzionale alla popolazione”.

Intanto, nel Sinodo dei vescovi di rito latino della Conferenza episcopale indiana (Ccbi) in corso a Chennai, cambiano i vertici. A presiedere l’organismo non sarà più il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, rimasto in carica per tre mandati dal 2013 al 2019. Al suo posto, oggi è stato eletto mons. Filipe Neri Ferrao, arcivescovo di Goa e Daman. Confermati invece il vice-presidente e il segretario generale, rispettivamente mons. George Antonysamy, arcivescovo di Chennai-Mylapore e mons. Anil Joseph Thomas Couto, arcivescovo di Delhi.