Papa: solidarietà e responsabilità comune reggano la famiglia cristiana

Celebrando l’inizio della 52ma Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Francesco ha affermato che “è un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione”.


Roma (AsiaNews) – “La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana” che deve riconoscere i doni dati da Dio alle diverse comunità cristiane e deve desiderare di condividerli. E’ il pensiero centrale suggerito a papa Francesco dalla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che ha oggi inizio nella tradizionale celebrazione dei Primi vespri nella basilica romana di san Paolo fuori le Mura.

A dare spunto alla celebrazione, alla quale hanno preso parte rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche presenti a Roma, una delegazione ecumenica della Finlandia e gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, la riflessione sul tema “Cercate di essere veramente giusti” (cfr. Dt 16, 18-20), proposta da un Gruppo ecumenico dell’Indonesia.

“I cristiani dell’Indonesia – ha detto Francesco all’omelia - riflettendo sulla scelta del tema per la presente Settimana di Preghiera, hanno deciso di ispirarsi a queste parole del Deuteronomio: «La giustizia e solo la giustizia seguirai» (16,20). In essi è viva la preoccupazione che la crescita economica del loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie, lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di responsabilità reciproca”.

“Ma ciò non vale solo per l’Indonesia: questa situazione si riscontra nel resto del mondo. Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide”.

“San Paolo, scrivendo ai Romani, applica la stessa logica alla comunità cristiana: coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli. Non è cristiano «compiacere noi stessi» (15,1). Seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli. La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana”.

“Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi. È facile scordare l’uguaglianza fondamentale che esiste tra noi: che all’origine eravamo tutti schiavi del peccato e che il Signore ci ha salvati nel Battesimo, chiamandoci suoi figli. È facile pensare che la grazia spirituale donataci sia nostra proprietà, qualcosa che ci spetta e che ci appartiene. È possibile, inoltre, che i doni ricevuti da Dio ci rendano ciechi ai doni dispensati ad altri cristiani. È un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E come potremo allora entrare nel Regno promesso?”.

“Il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni ricevuti sono resi accessibili e condivisi. Per compiere i primi passi verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità”.