Sheikh Abdul Rahman: Due bambini musulmani uccisi insieme ai loro amici cristiani a Negombo
di Melani Manel Perera

I due piccoli islamici erano andati a messa con i loro amichetti nel giorno di festa nella chiesa di St Sebastian, colpita dall’attacco terrorista a Pasqua. La comunità islamica e quella cattolica di Negombo hanno forti legami di amicizia. Il timore di una divisione interetnica e interreligiosa che faccia ritornare indietro il Paese alla guerra civile. In nome della sicurezza, le donne islamiche non dovrebbero indossare il burqa. Sheikh Abdul Rahman, assistente sociale, è collaboratore della Caritas Colombo.


Katuwapitiya (AsiaNews) – Una bambina e un bambino musulmani sono morti insieme ai loro amichetti cristiani nell’esplosione avvenuta il 21 aprile nella chiesa di St. Sebastian a Katuwapitiya (Negombo), a pochi chilometri da Colombo. Lo dice ad AsiaNews Sheikh Abdul Rahman (foto 1), che abita nelle vicinanze della chiesa colpita dall’attacco terrorista, dove sono morte almeno 180 persone.

“La bambina – continua Sheikh Abdul – era andata a messa con il suo amichetto cattolico e il bambino era andato a messa accompagnato dalla madre, dato che la mamma è cattolica. Secondo il rito islamico, i loro funerali si sono svolti al più presto, un giorno prima di quello dei fedeli cattolici”.

La notizia di questi due bambini musulmani uccisi insieme alle decine di bambini cattolici nei massacri avvenuti nel Paese il giorno di Pasqua, è un segno dell’amichevole convivenza che è esistita finora fra le due comunità religiose, che però, ora è messa a rischio dai gesti del terrore fondamentalista, dalla paura e dal sospetto.

Sheikh Abdul Rahman, 56 anni, è un assistente sociale e membro del gruppo per il dialogo interreligioso, legato al Centro per lo sviluppo umano della Caritas di Colombo. Nell’intervista concessa ad AsiaNews, egli esprime “la più profonda partecipazione” al dolore dei cristiani e chiede a tutti “il coraggio di rimanere insieme come una famiglia unita nel dolore”. E domanda ai “fratelli e sorelle dello Sri Lanka” di non “attuare vendette” perché altrimenti “sarà facile per quegli estremisti distruggere lo Sri Lanka, distruggere le nostre vite innocenti, distruggere la nostra bella coesistenza di cui abbiamo goduto finora”.

Ecco l’intervista che Sheikh Abdul ci ha rilasciato.

 

Cosa pensa di questa triste situazione?

Come musulmano, vorrei esprimere la più profonda partecipazione per tutti coloro che hanno perso le loro vite innocenti, e vorrei augurare ai membri delle loro famiglie tanto coraggio per sopportare questo dolore e questa perdita. Noi sentiamo profondamente questa tragedia, come se i morti fossero parte della nostra stessa famiglia, dato che in questa società viviamo come sorelle e fratelli sia con i buddisti che con i cristiani. E’ davvero difficile portare tutto questo dolore.

Dobbiamo capire quanto è successo e agire con saggezza. Quanto avvenuto non è un colpo alla comunità cristiana, ma alla nostra unità, alla nostra coesistenza. In tutto ciò io vedo un progetto di qualche persona di riaprire nel Paese la via della rabbia, della vendetta e della paura, per creare una situazione terrificante nella nazione. Dopo 30 anni di dolore [per la guerra civile], stavano ora cominciando a godere di armonia fra le molte etnie e religioni presenti.

È molto triste anche il fatto che quando il messaggio sulle attività di quel sedicente gruppo musulmano è stato ricevuto, le nostre autorità civili lo hanno sottovalutato. Essi hanno giocato col pericolo, con vite di innocenti cristiani in tre chiese e di coloro che erano nei tre hotel. Perché non hanno preso sul serio quel messaggio, agendo di conseguenza? Abbiamo tanti sospetti su di loro.

Ma il Corano giustifica queste uccisioni? È un modo di diffondere la fede islamica?

Oh no, mai! Noi condanniamo [queste uccisioni]. È del tutto contro il Corano e contro le parole del Profeta Nabbi. Egli non ha mai approvato alcuna violenza. Nel Corano si dice che se qualcuno uccide una persona, è come se avesse ucciso l’intera società. Anche se essi si vestono alla musulmana, se hanno nomi islamici, come possono chiamarsi veri musulmani se uccidono e compiono cose così orribili? Non possiamo chiamarli musulmani.

 

Dopo questa tragedia, le altre comunità, singalesi e tamil hanno cominciato a guardare male e con sospetto i musulmani. Che ne pensa?

È successo tutto il brutto e il cattivo possibile. Quanto dice è una reazione e un’attitudine naturale delle menti umane. Ci vorrà del tempo per correggere questa posizione e tornare a trattare i musulmani come in passato, come fratelli e sorelle.

[Come ai tempi della guerra civile] non tutti i tamil erano terroristi. Non tutti i buddisti sono estremisti. Allo stesso modo, non tutti i musulmani sono terroristi. Perciò, io, come musulmano, come sheikh, chiedo ai miei cari sorelle e fratelli dello Sri Lanka, guardateci con una mente aperta. Vivete con noi come avete vissuto finora. Rispettate l’umanità. Non cercate di vendicarvi, di essere aggressivi verso di noi. Se ciò avviene, sarà molto facile per quegli estremisti distruggere il nostro Sri Lanka, distruggere le nostre vite innocenti, distruggere la nostra bella coesistenza di cui abbiamo goduto finora.

Cosa possiamo fare per ricostruire la coesistenza fra la nostra gente?

La gente rispetta molto i loro leader. Per questo, i nostri leader religiosi dovrebbero sedere insieme e fare un piano per rendere coscienti le persone. Senza restrizioni mentali, cercare di rendere cosciente le persone e farle partecipi della causa di uno Sri Lanka unito.

Vorrei anche dire che nel nostro Paese vi sono molti, molti cristiani e buddisti che guardano alle cose in modo saggio e aperto. Essi dovrebbero aiutare noi musulmani. I leader cristiani e buddisti dovrebbero aiutare noi musulmani a correggere i falsi atteggiamenti presenti nella mente di alcune persone. Altrimenti il nostro Paese ritornerà indietro, e ancora una volta la gente di questo Paese riprenderà a combattere.

Con questa tragedia, noi musulmani siamo più vulnerabili, più disperati. Le donne hanno alcune difficoltà… non possono nemmeno uscire di casa… Le critiche crescono. Gli uomini che portano la barba hanno difficoltà: tutti ci guardano con sospetto. Perciò, fermate queste azioni spiacevoli; i leader religiosi giochino un ruolo più buono e più importante di quello del governo, perché la parola di un sacerdote cristiano, o di una suora, o di un monaco buddista è molto più potente.

Che cosa può fare la comunità musulmana per le vittime di Katuwapitiya?

Noi vogliamo aiutare quelle famiglie. Ma le nostre abitudini e il sospetto della gente sono un ostacolo alle nostre buone intenzioni. I sacerdoti [cattolici] ci hanno chiesto di non partecipare per il momento. E possiamo comprendere ciò.

Intanto stiamo discutendo come possiamo aiutare le famiglie colpite. Tutto ciò che possiamo fare alle famiglie di Katuwapitiya, lo faremo insieme al parroco e all’arcivescovo.

Stiamo anche preparando una dichiarazione per comunicare le nostre condoglianze e rispetto. Speriamo di dare questa lettera al parroco della nostra zona, perché la legga dopo la messa.

Ieri abbiamo anche tenuto una preghiera interreligiosa per tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita nella chiesa. Abbiamo tenuto questo momento nella moschea principale a Kamachchode: alcuni fiori, candele accese, preghiere, brevi discorsi da parte di sacerdoti cattolici e di altri leader religiosi (v. foto 2 e 3).

Anche una nostra bambina e un bambino musulmani sono periti nell’esplosione della chiesa. La bambina era andata a messa con il suo amichetto cattolico e il bambino vi era andato con la mamma, perché la mamma è cattolica. Secondo il rito islamico, i loro funerali si sono svolti al più presto, un giorno prima di quello dei fedeli cattolici.

Infine, vorrei dire che i media hanno una grande responsabilità nel dare alla gente un’informazione corretta e utile a proteggere la nostra società. Il loro lavoro dovrebbe essere quello di unire il popolo, non dividerlo.

 

In questo momento il burqa, il niqab o l’hijab, il vestire delle donne musulmane sta diventando un problema serio in Sri Lanka. Lei cosa ne pensa?

Vestire il burqa, o l’hijab è un diritto per una donna musulmana, ma come lei dice è divenuto un problema serio nel Paese a causa della situazione di emergenza. Per questo, noi musulmani dobbiamo pensare in modo ampio e giungere a una conclusione ragionevole. Per la pace e la protezione del nostro Paese e del nostro popolo, dobbiamo abbandonare alcune buone pratiche e obbedire alle regole della nazione.

Alcuni studiosi islamici dicono che le donne musulmane dovrebbero coprire il volto, altri dicono che non è necessario. Io penso che la questione del burqa sia un fatto personale. Alcune donne fra le più devote usano indossare il burqa, ma non è una materia essenziale. Ma per le nostre donne, non indossare il burqa è qualcosa che le disturba, esse si sentono come se fossero nude. Ma a questo punto, prendendo in considerazione la pericolosa situazione del Paese, noi musulmani abbiamo una grande responsabilità per aiutare alla sicurezza della gente e del Paese. Per questo, le nostre donne musulmane non dovrebbero protestare, perché questo [non indossare il burqa – ndr] è un aiuto alla sicurezza della nazione.