Trappiste di Azeir: embargo e sanzioni hanno messo in ginocchio i siriani

Il primo giugno l’Europa deve votare il rinnovo delle sanzioni contro Damasco, in vigore dal 2011. Washington utilizza la morsa economica per ottenere - sinora invano - un cambio di regime. Le suore testimoniano il dramma e la disperazione di un popolo per una “situazione insostenibile”.


Damasco (AsiaNews) - Oltre alla guerra, alle violenze jihadiste e alle devastazioni, il popolo siriano deve fronteggiare anche le sanzioni europee e statunitensi che colpiscono ancor più una economia già in ginocchio. E “per la prima volta in tutti questi anni” di conflitto “vediamo la gente veramente scoraggiata” perché embargo e restrizioni “stanno incidendo in maniera pesante”. È quanto racconta in una testimonianza inviata ad AsiaNews suor Marta, delle trappiste di Azeir, in Siria. “Non c’è gas, non c’è benzina, non c’è gasolio - racconta la religiosa - e nella nostra regione, che è soprattutto agricola, la gente coltiva ma non ha la possibilità di portare frutta e verdura a Damasco o sui mercati, quindi tutto è fermo”. 

Il primo giugno Bruxelles dovrà votare il rinnovo delle sanzioni Ue contro la Siria. Esse comprendono l’embargo petrolifero, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell’Ue e restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie. Imposte nel 2011 in seguito all’inizio della guerra, le misure punitive sono riviste su base annua; l’elenco delle sanzioni europee comprende infine 270 persone e 72 entità prese di mira da un divieto di viaggio e blocco dei beni.

All’embargo Ue si aggiunge anche la morsa imposta da tempo dagli Stati Uniti contro la Siria e la famiglia Assad, con l’obiettivo di piegare (finora invano) il governo di Damasco e ottenere un rovesciamento del regime. Esso impedisce l’ingresso di carburante e paralizza i trasporti, dagli autobus ai taxi, passando per le auto private. Gli studenti non possono più frequentare scuole e università, i pazienti non possono recarsi agli appuntamenti con i dottori. 

Inoltre, medicine e ospedali non sarebbero inclusi nell’embargo ma gli ospedali funzionano al minimo, i macchinari sono fermi per mancanza di pezzi di ricambio e alle banche straniere è di fatto impedito di collaborare con gli istituti siriani. Una stretta che, unita alle devastazioni del conflitto, ha causato la morte di quasi mezzo milione di persone, oltre tre milioni di disabili permanenti, circa 11 milioni - quasi metà della popolazione - costretti ad abbandonare le loro abitazioni. Di questi, poco meno di 6 milioni vivono in nazioni vicine (3,6 in Turchia). A questi si aggiungono 6,2 milioni di sfollati interni, nel contesto della peggiore crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale. 

Oltre l’80% della popolazione è in condizioni di estrema povertà, con meno di due dollari al giorno. Dal 2009 poco meno del 60% delle imprese si sono trasferite all’estero e la disoccupazione è passata dal 10% del 2010 ad oltre il 50% nel 2015. La perdita in termini di Prodotto interno lordo (Pil) fra il 2011 e il 2016 è stata di 226 miliardi di dollari, circa quattro volte il Pil del 2010. 

Analisti ed esperti sottolineano a più riprese che le cosiddette “sanzioni intelligenti” di Washington e Bruxelles, di intelligente hanno poco o nulla e finiscono per colpire solo il settore degli aiuti, che faticano sempre più ad entrare nel Paese. La situazione, come sottolineano ad AsiaNews nei giorni scorsi dall’arcivescovo maronita di Damasco, è sempre più difficile. 

“A giugno - racconta suor Marta - si ripresenta ancora una volta la votazione” in sede  europea. Intanto in Siria molte fra le piccole attività sono bloccate. “Da noi - spiega - molte cose si conservano ancora col ghiaccio e chi fa il ghiaccio non riesce a produrre, non c’è elettricità per i freezer né benzina per portare in giro i blocchi di ghiaccio”. E per il pane è “la stessa cosa”: esso viene “razionato perché i forni funzionano col gasolio… Insomma questa realtà e davvero pesante e la gente è veramente scoraggiata”. Sempre più persone rimpiangono di non essere partite. 

“Come si può pensare che il Paese riparta” se viene gravato da un “fardello [le sanzioni] così pesante?” si chiede la religiosa, mentre i prezzi “sono triplicati. Davvero - conclude - è una situazione insostenibile”.