Vicario d’Arabia: nello Yemen situazione confusa e rischio divisioni

Riyadh e Abu Dhabi cercano di ricomporre e divisioni nella coalizione anti-Houthi. Da Aden gli scontri si sono estesi a Taiz. Mons. Hinder: le potenze internazionali promuovono una politica di divisioni. Uno Stato confederato una possibile soluzione “valida”. Le preghiere comuni di musulmani e cristiani per aprire vie di pace e di giustizia. 


Abu Dhabi (AsiaNews) - La situazione in Yemen, dove si è riaperto di recente un altro fronte di scontro fra filo-sauditi e separatisti sostenuti dagli Emirati, entrambi in lotta contro i ribelli Houhi vicini a Teheran, la “rimane confusa e poco trasparente”. Lo racconta ad AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), che da Abu Dhabi segue da vicino le vicende yemenite grazie anche alle fonti nel Paese, in attesa di poter tornare dopo anni di assenza. “Mentre la regione di Sana’a - aggiunge il prelato - per ora sembra essere relativamente tranquilla, sono ricominciate le battaglie nel sud” soprattutto ad Aden. 

A livello ufficiale, sottolinea mons. Hinder, tutti gli attori esterni “dichiarano di voler mantenere l’unità”. In realtà anche “l’alleanza sotto la guida dell’Arabia Saudita non è più coesa e mostra delle spaccature” al suo interno “a causa di interessi divergenti”. Il presidente Abd Rabbih Manṣūr Hadi che rappresenta il governo riconosciuto sul piano internazionale “non gode di grande sostegno”. Al contempo, Aden che già in passato è stata la capitale, “cerca di nuovo di farsi indipendente”.

La guerra in Yemen divampata nel 2014 come conflitto interno fra governativi filo-sauditi e ribelli sciiti Houthi vicini all’Iran, degenerato nel marzo 2015 con l’intervento della coalizione araba guidata da Riyadh, ha fatto registrare oltre 10mila morti e 55mila feriti. Organismi indipendenti fissano il bilancio (fra gennaio 2016 e fine luglio 2018) a circa 57mila decessi.

Per l’Onu il conflitto ha innescato “la peggiore crisi umanitaria al mondo”, circa 24 milioni di yemeniti (pari all’80% della popolazione) hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria e l’emergenza colera preoccupa ancora. I bambini soldato sarebbero circa 2500 e la metà delle ragazze si sposa prima dei 15 anni. 

A complicare la situazione le ulteriori frammentazione nella coalizione anti-Houthi. Nelle ultime settimane lo scontro ha oltrepassato i confini di Aden, allargandosi a Taiz nel centro del Paese. Da giorni sono in corso scontri lungo l’autostrada Aden-Taiz tra separatisti meridionali e gruppi salafiti sponsorizzati da Abu Dhabi e forze governative legate al partito al-Islah del presidente Hadi, sotto l’ala di Riyadh. Nel fine settimana si sono mosse le diplomazie saudita e degli Emirati per raggiungere un cessate il fuoco fra alleati nelle province contese di Abyan e Shabwa. 

Per il vicario d’Arabia le potenze internazionali promuovono una politica “che condurrà alla divisione in due o tre parti”, perché tutti “hanno paura di uno Yemen centralizzato” eccetto quanti “avranno il vero potere”. In questo contesto uno Stato confederato sarebbe una soluzione “valida” se le parti “fossero capaci di elaborare una Costituzione equilibrata e giusta, rispettando le legittime aspettative di tribali e attori regionali”. Ma per raggiungere l’obiettivo, avverte, serve “la capacità di accettare compromessi ragionevoli”. 

Eventuali accordi, avverte, saranno possibili “soltanto in un clima minimo di fiducia”, nel quale “anche i poteri esterni” aiutino a risanare il Paese “anziché destabilizzarlo”. Le speranze di una tregua a breve sono poche perché troppi aspetti “sono in gran parte fuori controllo” e chi soffre “è la popolazione civile che lotta contro violenze, malattie e fame”, mentre la comunità internazionale “non sa come reagire. E tace”, ma questo silenzio “potrebbe rivelarsi fatale”.

L’ultima riflessione del prelato è sull’arma più efficace, che “però non distrugge: la preghiera. È tempo che musulmani, cristiani e altri preghino perché siano aperte le vie di pace e giustizia”.