Musulmane in festa per l’eliminazione della parola ‘vergine’ dai certificati di nozze
di Sumon Corraya

L’Alta corte abolisce la parola “kumari” (vergine), considerata discriminatoria per le spose di fede islamica. Entrambi i coniugi dovranno indicare se sono non sposati, vedovi o divorziati. Alcuni uomini protestano: “Le donne avranno una vita sregolata”.


Dhaka (AsiaNews) – Ha scoperto che doveva indicare se era vergine solo al momento delle nozze: “Non lo sapevo, ed è stata una vergogna. La verginità è una questione fisica, non ha nulla a che fare con un documento nuziale”. È la storia di Monira Parvin, bengalese 38enne di Razabazar (Dhaka). Ad AsiaNews racconta di aver vissuto come umiliante il momento del matrimonio, quando ha dovuto scrivere se era vergine o meno, al contrario del marito per il quale non era previsto l’obbligo. Per questo ora esulta alla decisione del massimo organo giudiziario del Paese di rimuovere la parola “vergine” dal certificato di nozze. “Grazie al verdetto della Corte – afferma – ora le donne musulmane hanno gli stessi diritti degli uomini”.

Con una storica sentenza, il 25 agosto l’Alta corte del Bangladesh ha eliminato l’obbligo in vigore solo per le donne musulmane. In precedenza, esse dovevano scrivere se erano “kumari” (vergini), vedove o divorziate. Agli uomini invece non veniva richiesto di indicare lo stato civile al momento delle nozze. Monira, che si è sposata 10 anni fa, ricorda: “Ero davvero sorpresa di dover scrivere la parola ‘vergine’, mentre mio marito no. Ringrazio chi ha fatto campagna per questo cambiamento epocale”.

L’obbligo d’indicare lo stato civile era previsto solo per le donne della comunità musulmana, non per quelle delle altre comunità religiose (indù, cristiane e buddiste). La norma risale al periodo di dominio pakistano, prima dell’indipendenza ottenuta nel 1971. L’Alta corte ha stabilito che d’ora in avanti entrambi i coniugi dovranno compilare il documento con l’indicazione “non sposato/a”, “vedovo/a” o “divorziato/a”.

Il cambio di legge è un’iniziativa delle associazioni Bangladesh Legal Aid and Service Trust (Blast), Naripokko e Bangladesh Mahila Parishad. Ayshya Akter, avvocato di Blast, dichiara: “Volevamo uguali diritti e li abbiamo ottenuti. Abbiamo vinto. La discriminazione è stata rimossa dal certificato di matrimonio, considerato sacro per la vita coniugale. Al tempo stesso, ora anche lo sposo dovrà fornire le proprie informazioni sullo stato civile”.

Jhumu Akter, studentessa della Dhaka University, dice: “Anche se non sono ancora sposata, so che le donne musulmane venivano discriminate. Il modulo del certificato era antico, per questo ringrazio i richiedenti e l’Alta corte che ha concesso il cambiamento”.

D’altra parte non tutti hanno gioito alla sentenza. Alcuni uomini esprimono insoddisfazione. Tra loro, il giovane Palash Islam che dice: “Ora le donne condurranno una vita disordinata. Per me, il verdetto è sbagliato”.