Rakhine, da fine 2018 oltre 60mila sfollati nel conflitto tra esercito e ribelli buddisti

Oltre al gruppo etnico che dà il nome al territorio, tra le comunità più colpite vi sono i Mro ed i Chin. Sopravvivono grazie agli aiuti forniti dal Programma alimentare mondiale, dalla Croce Rossa (Cicr) e dal governo locale. I profughi sono troppo spaventati per fare ritorno ai propri villaggi: “Sentiamo il suono degli spari e c'è la minaccia delle mine antiuomo”.


Naypyidaw (AsiaNews) – Dal dicembre dello scorso anno, quando si sono intensificati i combattimenti tra il Tatmadaw (l’esercito birmano) ed i ribelli buddisti dell’Arakan Army (Aa), nel nord dello Stato di Rakhine oltre 60mila civili sono diventati sfollati interni (IDPs). Lo denunciano gli operatori umanitari del Rakhine Ethnic Congress. Oltre al gruppo etnico che dà il nome al territorio, tra le comunità più colpite vi sono i Mro (sottogruppo Rakhine originario dei remoti altopiani) ed i Chin.

I profughi provengono soprattutto da otto municipalità nel nord dello Stato: Ponnagyun, Kyauktaw, Mrauk U, Minbya, Myebon, Rathedaung, Buthidaung e Maungdaw. Poiché non sono disponibili posti di lavoro adeguati, essi sopravvivono grazie agli aiuti forniti dal Programma alimentare mondiale (Wfp), dalla Croce Rossa (Cicr) e dal governo del Rakhine. Lo scorso agosto, gli IDPs hanno patito la fame ma sono troppo spaventati per fare ritorno ai propri villaggi.

U Tun Tun è uno dei circa 700 Mro che hanno trovato rifugio nelle 151 baracche in bambù del campo profughi di Upper Myat Lay, che prende il nome dal vicino villaggio nella municipalità di Ponnagyun. La struttura improvvisata si trova vicino all'autostrada Yangon-Sittwe e accoglie gli sfollati Mro da più di nove mesi. “A metà dicembre – dichiara U Tun Tun al quotidiano Irrawaddy – siamo fuggiti prima in un villaggio nella municipalità di Kyauktaw e siamo rimasti lì per due settimane. Quindi abbiamo raggiunto Upper Myat Lay con le barche. Siamo stati collocati nel monastero ed in seguito trasferiti in questo nuovo campo a luglio”.

“Non abbiamo lavoro – conclude – e non è possibile continuare a vivere così. Ma se torniamo indietro, come possiamo lavorare nelle nostre fattorie e raccogliere le verdure nella giungla? Sentiamo il suono degli spari e c'è la minaccia delle mine antiuomo”.