Chiesa irakena in digiuno e preghiera per la pace. Mons Warduni: i giovani uniti in piazza

Il patriarcato caldeo invita a recitare la preghiera per la pace. Card Sako: il problema irakeno non è “politico”, ma di natura “culturale e spirituale”. Il bilancio aggiornato parla di 320 vittime e 16mila feriti. Ausiliare di Baghdad: poca attenzione verso il futuro dei giovani e dei più poveri. Ragazzi e ragazze superano le divisioni etniche e confessionali. 


Baghdad (AsiaNews) - Il problema dell’Iraq e della maggior parte dei Paesi arabi è di natura “culturale e spirituale”, non “puramente politico”. Il ladro, il corrotto, l’estremista o il tiranno dominano “perché manca una motivazione religiosa, spirituale e morale” forte e salda. È quanto afferma il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, in un messaggio inviato per conoscenza ad AsiaNews. Per il porporato la “questione” è legata “all’educazione” in famiglia e comunità “che è irta di preconcetti, costumi e pratiche desuete” che “non si basano sulla ragione e sulla analisi”. 

Il primate caldeo torna ancora una volta sulle manifestazioni anti-governative divampate il primo ottobre scorso e riprese con particolare vigore nelle ultime due settimane. E non nasconde le profonde preoccupazioni per le violenze di polizia e forze di sicurezza verso la popolazione, che hanno già causato almeno 319 vittime complessive fra militari e (in larga parte) civili.

In un crescendo di violenze e tensione, il patriarca caldeo ha invitato i cristiani del Paese a digiunare per tre giorni, da questa mattina fino alla sera di mercoledì 13 novembre “per la pace e il ritorno della stabilità”. Insieme al digiuno, il porporato esorta i fedeli a recitare la preghiera diffusa il 4 novembre scorso nella cattedrale di san Giuseppe a Baghdad, nel contesto dell’incontro ecumenico per la pace promosso dai vertici della Chiesa irakena. 

“Ciò di cui abbiamo bisogno - scrive il card Sako - è una lettura attenta dell’Iraq dopo l’invasione Usa del 2003”. Le dimostrazioni di queste settimane, avverte, “sono una reazione spontanea” alle “sofferenze” degli anni passati e sono promosse “sotto la bandiera irakena”, non “con stendardi delle varie parti o fazioni”. I manifestanti hanno “rovesciato il settarismo” per unirsi sotto una come “identità nazionale”. Al governo, avverte, il compito di “conquistare la fiducia” dei suoi figli avviando “un dialogo coraggioso” e “riforme economiche” che portino a una “redistribuzione della ricchezza” e agli intellettuali fuggiti l’appello a tornare “per contribuire alle riforme”. 

I timori del patriarca sono condivisi dall’ausiliare di Baghdad mons. Shlemon Warduni, secondo cui in troppi “fanno solo il proprio interesse personale” e “non si curano del bene comune, soprattutto della situazione dei giovani e dei più poveri”. Il motore della rivolta, conferma ad AsiaNews, è nella parte più giovane della popolazione “che non ha lavoro, che ha finito le scuole e non sa cosa fare”. 

“Per le strade - aggiunge - vi è una situazione di grande caos e confusione. Queste manifestazioni mostrano al mondo che siamo in una condizione tragica e non sappiamo cosa fare. Perché non ci sono persone che guardano al bene comune, non si curano dell’interesse di tutti”. Il prelato è preoccupato per l’escalation di violenze “che ha causato oltre 300 morti e 16mila feriti. Non si può restare inerti e, come Chiesa, rispondiamo con il digiuno e la preghiera”. Mons. Warduni sottolinea infine “l’importanza che ragazzi e ragazze siano uniti, in piazza, dietro alla comune bandiera irakena. Non guardano in faccia alla religione, l’etnia, ma vogliono solo il bene del Paese, anche se preoccupano i casi di attacchi e sequestri di civili in piazza ad opera di bande armate”.

Intanto l’escalation della tensione viene seguita da vicino nelle cancellerie occidentali e dai massimi organismi internazionali. Per arginare la crisi gli Stati Uniti invocano elezioni anticipate e riforme, mentre diverse ong pro diritti umani lanciano l’allarme per una deriva violenta che potrebbe sfociare in un “bagno di sangue”. La missione Onu in Iraq (Unami) denuncia un “clima di paura” e invoca “massimo contenimento” da parte delle forze dell’ordine, compreso il divieto di uso “di proiettili” o “l’uso improprio di mezzi non letali” come i gas lacrimogeni. 

I vertici Unami chiedono il rilascio dei manifestanti arrestati in queste settimane e una inchiesta sui sequestri in circostanze misteriose di attivisti e medici, prelevati [secondo diverse ong] da membri delle forze di sicurezza o da gruppi armati. L’organismo delle Nazioni Unite auspica inoltre una serie di misure da attuare nelle prossime settimane o mesi, fra cui una riforma elettorale e costituzionale, processi contro quanti sono accusati di corruzione e applicare le normative già esistenti per combattere ruberie e malversazioni.