I porti europei sono centrali nella Belt and Road cinese
di Emanuele Scimia

Xi Jinping ha magnificato le nuove Vie della seta durante il suo recente viaggio in Grecia. Diversi Paesi europei, alle prese con un’economia stagnante, sono alla ricerca disperata di investimenti cinesi, ma rischiano di diventare vassalli di Pechino. L’Occidente dovrebbe creare una seria alternativa al megaprogetto infrastrutturale della Cina.


Roma (AsiaNews) – Il presidente cinese Xi Jinping non può non essere orgoglioso del genuino interesse mostrato dagli europei per la Belt and Road Initiative (Bri), il suo grande programma infrastrutturale che mira a rilanciare l’antica Via della seta, migliorando i collegamenti terrestri e marittimi tra Cina, Europa e Africa.

Lo scorso 11 novembre, nel corso di una visita di Stato in Grecia, Xi ha affermato che gli investimenti della Cina nel porto del Pireo sono i più importanti in ottica Bri. Egli considera la struttura greca, di cui il gestore e maggior azionista è il gigante cinese Cosco Shipping, “la testa del dragone” nella strategia delle nuove Vie della seta.

In sintonia con il suo illustre ospite, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha sottolineato che la cooperazione con la Cina è essenziale per trasformare la Grecia in un ponte logistico tra l’Estremo Oriente e l’Europa.

Numerosi porti europei lavorano senza sosta per diventare degli hub della Bri. Il fatto che una tale rete di relazioni commerciali, incentrata sul potere cinese, possa minacciare l’ordine internazionale forgiato dall’Occidente non ha impedito a molti in Europa di fare affari con Pechino. E questo è ancora più evidente dopo che l’11 novembre la Banca europea degli investimenti ha concesso un prestito di 140 milioni di euro per aiutare Cosco a espandere e potenziare il porto del Pireo.

I cinesi controllano o hanno quote di partecipazione in una dozzina di porti tra Grecia, Italia, Malta, Spagna, Francia, Belgio e Paesi Bassi. Il 90% del commercio estero cinese viaggia via mare, e tutti questi Paesi vogliono la loro fetta di Bri. Il 5 novembre, ad esempio, l’Autorità portuale di Trieste ha firmato un protocollo di intesa con la China Communications Construction Company per creare piattaforme logistico/distributive nelle aree di Shanghai, Ningbo e Shenzhen. Queste strutture saranno collegate a Trieste, ma dovrebbero servire anche altri porti italiani.

Il problema è che la Bri potrebbe condannare i partner commerciali della Cina a dipendere dal potere e dalla ricchezza cinesi. Controllando i porti stranieri, Pechino controllerà in definitiva le rotte di trasporto internazionali – e quindi il commercio mondiale. 

È la rinascita moderna, e in forma globalizzata, dell’antico sistema tributario cinese. Le nuove Vie della seta diventano così sottili strumenti di egemonia, con la Cina che brandisce promesse di investimento e prestiti per sottomettere i clienti della Bri. A differenza dei loro alleati in Europa, i leader americani sono convinti che il megaprogetto cinese sia in realtà una risposta asimmetrica alla vasta rete americana di alleanze e partenariati militari.

In una recente audizione al Congresso Usa, Carolyn Bartholomew, presidente della US-China Economic and Security Review Commission, ha sostenuto che la Cina potrebbe usare i suoi interessi finanziari nei porti asiatici, europei e africani per controllare una frazione significativa della sua catena di approvvigionamento di materie prime, nonché le rotte commerciali in uscita per le sue esportazioni. Secondo l’esperta statunitense, in caso di conflitto Pechino potrebbe sfruttare il controllo di questi porti per ostacolare l’accesso commerciale ad altre nazioni. Ciò che Bartholomew non ha detto, però, è che gli investitori cinesi stanno modernizzando i porti europei, creando posti di lavoro in un contesto economico depresso. Di conseguenza, gli alleati degli Usa in Europa non sono disposti a bloccare gli investimenti della Cina nelle loro strutture portuali.

Trump ha più volte minacciato di punire i membri europei della NATO se questi acquisiranno tecnologia a banda larga 5G da Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni. Ma molti Stati europei stanno scommettendo sulla cooperazione cinese proprio perché vogliono trasformare le loro strutture marittime in “smart port”. La possibile integrazione del piano Ue per rafforzare la connettività tra Europa e Asia con il “Blue Dot Network”, uno schema infrastrutturale promosso da America, Giappone e Australia come alternativa a quello cinese, potrebbe dissuadere gli europei dal cavalcare il dragone cinese.