Hong Kong, la libertà vale più della pancia piena
di Bernardo Cervellera

Il silenzio delle autorità e dei media cinesi, che il giorno prima avevano preparato articoli inneggianti alla vittoria dei pro-Pechino. Inutile anche le campagne patriottiche e anti-Usa dei media. Un fallimento anche per Carrie Lam. Pechino pensa che i diritti umani siano solo il mangiare, il vestire, l’abitare. Ma la gente di Hong Kong ama anche la libertà.


Roma (AsiaNews) – La valanga di voti a favore dei democratici nelle esili elezioni distrettuali di tre giorni fa ad Hong Kong ha lasciato inebetite le autorità di Pechino. Per lunghe ore i media statali cinesi hanno osservato in silenzio la vittoria dei democratici senza sapere cosa dire. Alcune voci affermano addirittura che il giorno prima delle elezioni, i giornali del partito avevano già preparato articoli ed editoriali inneggianti alla vittoria dei pro-governativi, che hanno poi dovuto stracciare. Dopo aver ammesso che ci sono state le elezioni (senza comunicare i risultati), si è scesi ad usare le fake news di sempre: è tempo di fermare la violenza che incrina l’ordine e il benessere del territorio; è tempo di fermare la “mano nera” degli Stati Uniti o di altre potenze straniere che tentano di colpire la Cina manipolando i problemi di Hong Kong.

La retorica falsamente patriottica e il richiamo all’ordine (secondo Pechino) e perfino allo “stato di diritto” (secondo Pechino) ha caratterizzato la campagna che il Partito comunista cinese ha scatenato per tutti questi mesi di manifestazioni e di richieste di buona parte della popolazione di Hong Kong. Mentre giovani e meno giovani del territorio esprimevano (ed esprimono) le “cinque domande” – fra cui un’inchiesta indipendente sulle violenze della polizia; il rifiuto di classificare come “rivoltosi” gli arrestati alle manifestazioni; il suffragio universale – i media cinesi hanno sempre ritratto i giovani di Hong Kong come teppisti, stupratori, vandali, traditori della patria, spesso attribuendo a loro le violenze operate dalla polizia e dai gruppi mafiosi ad essa collegati.

Il fatto impressionante è che tutto questo fango rovesciato con mezzi giganteschi non ha avuto alcun peso sulle decisioni della popolazione di Hong Kong che in maggioranza hanno votato per coloro che hanno manifestato o che hanno appoggiato le manifestazioni anti-estradizione e democratiche.

Forse, davanti a questo buco nell’acqua, Pechino dovrebbe rivedere l’operato del suo Ufficio di propaganda: le menzogne bisogna raccontarle bene, devono avere almeno una parvenza di verità, altrimenti non sono credibili.

Anche Carrie Lam, il capo dell’esecutivo, che sperava in un “referendum” contro i vandalismi dei giovani, i blocchi della metropolitana, la chiusura del tunnel sottomarino, in nome dell’ordine e del ritorno al business, ha dovuto ingoiare l’amara sorpresa di una popolazione che ha preferito il disordine dei giovani all’ordine poliziesco.

Con questo, non voglio applaudire alle violenze esercitate dai gruppi radicali. Ma è anche vero che tale violenza è stata prodotta dallo stesso governo, è frutto del rifiuto del dialogo con i manifestanti, dell’aver dato carta bianca alle violenze della polizia, dell’aver volutamente ignorato le “cinque domande”, mentre da tutti i settori della società – compresa la Chiesa cattolica - si chiedeva l’ascolto.

Il risultato di queste elezioni – 392 seggi su 452 vinti dai democratici e strappati a leccapiedi o conniventi con Pechino – mostra che le autorità cinesi non capiscono Hong Kong. Forse il primo motivo è che gli osservatori di Pechino ad Hong Kong non comunicano la realtà e il desiderio di democrazia e libertà presente nel territorio, preferendo analisi e resoconti addomesticati per far piacere a Xi Jinping. È molto probabile che l’Ufficio per le relazioni fra la Cina ed Hong Kong e il suo capo vengano licenziati; al loro posto è già nato un Centro crisi a Shenzhen per monitorare la situazione. Ma anche questo sarà destinato al fallimento se Pechino non capisce una cosa molto semplice: la gente di Hong Kong – e soprattutto i giovani – sono disposti a tutto pur di avere la libertà. In tutti questi decenni Pechino ha diffuso la sua teoria materialista sui diritti umani: l’uomo ha solo bisogno di mangiare, vestire e abitare. I governi del resto del mondo – anche quello italiano - sembrano dare ragione alla Cina: pur di avere l’amicizia di Pechino sono disposti a fare silenzio su tutto: uiguri, Tibet, persecuzione religiosa, Hong Kong. In questi giorni, con le elezioni distrettuali, la gente di Hong Kong ha testimoniato che essa preferisce la libertà alla pancia piena.  E questo è lo smacco più grande.