Vaticano: una parrocchia rinnovata al servizio della evangelizzazione

Istruzione della Congregazione per il clero. “L’azione pastorale ha bisogno di andare oltre la sola delimitazione territoriale della parrocchia, di far trasparire più chiaramente la comunione ecclesiale attraverso la sinergia tra ministeri e carismi diversi e, nondimeno, di strutturarsi come una ‘pastorale d’insieme’ a servizio della diocesi e della sua missione”.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Superare la visione tradizionale della parrocchia da struttura territoriale – oggi dilatata da tecnologia e modi di vita a “villaggio globale” – a realtà evangelizzatrice, espressione della corresponsabilità missionaria del Popolo di Dio. E’ lo scopo che si pone l’Istruzione della Congregazione per il clero “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, resa nota oggi.

Il documento, ricorda che “nella Chiesa c’è posto per tutti e tutti possono trovare il loro posto” nell’unica famiglia di Dio, nel rispetto della vocazione di ciascuno”. In 28 pagine, divise in 11 capitoli, tratta il tema della cura pastorale delle comunità parrocchiali, dei diversi ministeri clericali e laicali, nel segno di una maggiore corresponsabilità di tutti i battezzati.

“Non essendo più, come in passato, il luogo primario dell’aggregazione e della socialità, la parrocchia è chiamata a trovare altre modalità di vicinanza e di prossimità rispetto alle abituali attività”. A tal proposito, l’Istruzione non contiene novità legislative, ma propone modalità per una migliore applicazione della normativa vigente, “alla luce del recente Magistero e considerando i contesti sociali e culturali profondamente mutati”, per un rinnovamento della parrocchia in senso missionario. “L’azione pastorale ha bisogno di andare oltre la sola delimitazione territoriale della parrocchia, di far trasparire più chiaramente la comunione ecclesiale attraverso la sinergia tra ministeri e carismi diversi e, nondimeno, di strutturarsi come una ‘pastorale d’insieme’ a servizio della diocesi e della sua missione. Si tratta di un agire pastorale che, tramite un’effettiva e vitale collaborazione tra presbiteri, diaconi, consacrati e laici, nonché tra diverse comunità parrocchiali di una stessa area o regione, si preoccupa di individuare insieme le domande, le difficoltà e le sfide riguardanti l’evangelizzazione, cercando di integrare vie, strumenti, proposte e mezzi idonei per affrontarle”.

La parrocchia allora dovrà puntare sul dinamismo e su una conversione pastorale basata sull’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale e la testimonianza della carità. Dovrà promuovere una “cultura dell’incontro” che porti a sviluppare una vera e propria “arte della vicinanza”.

“Pastore proprio” della comunità è il parroco. Egli è a servizio della parrocchia, e non il contrario. In quanto responsabile della cura delle anime, deve essere un presbitero. Non può quindi essere un diacono o un laico. Amministratore dei beni parrocchiali e rappresentante giuridico della parrocchia, il parroco va nominato a tempo indeterminato, anche se sono possibili eccezioni temporanee.

Nell’ambito della parrocchia possono esserci i diaconi. Essi non sono “mezzi preti”, né “mezzi laici”. Ricordando quanto detto da papa Francesco, il documento afferma che “Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare che richiama il servizio. […] Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa. Ogni parola dev’essere ben misurata. Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’Altare, il servizio ai Poveri”. “La storia del diaconato ricorda che esso è stato istituito nell’ambito di una visione ministeriale di Chiesa e, perciò, come ministero ordinato al servizio della Parola e della carità; quest’ultimo ambito comprende anche l’amministrazione dei beni. Tale duplice missione del diacono, poi, si esprime nell’ambito liturgico, nel quale egli è chiamato a proclamare il Vangelo e a prestare servizio alla mensa eucaristica”.

Quanto ai consacrati all’interno delle comunità parrocchiali, di essi si ricorda “l’essere testimoni di una radicale sequela di Cristo”, mentre dei laici si sottolinea la partecipazione all’azione evangelizzatrice della Chiesa e si richiede loro “un impegno generoso” per una testimonianza di vita conforme al Vangelo e a servizio della comunità parrocchiale. I fedeli laici, inoltre, possono essere istituiti lettori e accoliti (ovvero per il servizio all’altare) in forma stabile, con rito apposito, fermo restando la loro piena comunione con la Chiesa cattolica, una formazione adeguata e una condotta personale e pastorale esemplare. Oltre a questo, in circostanze eccezionali, essi potranno ricevere altri incarichi dal vescovo, “a suo prudente giudizio”: celebrare la Liturgia della Parola e il rito delle esequie, amministrare il Battesimo, assistere al matrimoni, previa licenza della Santa Sede, e predicare in chiesa o in oratorio in caso di necessità. Non potranno comunque in alcun caso tenere l’omelia durante la messa.

L’Istruzione ricorda poi che “in ogni parrocchia deve necessariamente essere costituito il Consiglio per gli Affari Economici”. Con carattere consultivo, presieduto dal parroco e composto da almeno tre membri, esso è necessario poiché la gestione dei beni di una parrocchia è “un ambito importante di evangelizzazione e di testimonianza evangelica alla Chiesa e alla società civile”.

E’ solo “vivamente raccomandata”, invece, la creazione del Consiglio pastorale parrocchiale. “Il senso teologico del Consiglio pastorale si iscrive nella realtà costitutiva della Chiesa, cioè il suo essere ‘Corpo di Cristo’, che genera una ‘spiritualità di comunione’”. “Lungi dall’essere un semplice organismo burocratico, dunque, il Consiglio pastorale mette in rilievo e realizza la centralità del Popolo di Dio come soggetto e protagonista attivo della missione evangelizzatrice”. Come disse Paolo VI, “È compito del Consiglio Pastorale studiare, esaminare tutto ciò che concerne le attività pastorali, e proporre quindi conclusioni pratiche, al fine di promuovere la conformità della vita e dell’azione del Popolo di Dio con il Vangelo”.

Il documento, infine, ricorda che le offerte per la celebrazione dei sacramenti devono essere “un atto libero” e “non un ‘prezzo da pagare’ o una ‘“tassa da esigere’, come se si trattasse di una sorta di ‘imposta sui sacramenti’”. “Tra gli strumenti che possono consentire il raggiungimento di tale fine, si può pensare alla raccolta delle offerte in modo anonimo, così che ciascuno si senta libero di donare ciò che può, o che ritiene giusto, senza sentirsi in dovere di corrispondere a un’attesa o a un prezzo”.

Dal canto loro, i presbiteri offrano un esempio virtuoso nell’uso del denaro, attraverso uno stile di vita sobrio e un’amministrazione trasparente dei beni parrocchiali e si sensibilizzino i fedeli “perché contribuiscano volentieri alle necessità della parrocchia, che sono ‘cosa loro’ e di cui è bene che imparino spontaneamente a prendersi cura”. (FP)