Beirut, il governo si dimette, continuano le manifestazioni

La decisione di Hassan Diab è stata presa dopo giorni di violente manifestazioni, seguite alle esplosioni del porto di Beirut. Il governatore di Beirut, Marwan Abboud ha aggiornato le cifre del disastro del 4 agosto: i morti sarebbero 220 e vi sono 110 dispersi; i feriti hanno raggiunto la quota di 6mila. Il Paese rischia “dissoluzione economica, sociale e politica”.


Beirut (AsiaNews) - Con un messaggio televisivo alle 19.30 di ieri sera, il governo del premier Hassan Diab ha dato le dimissioni. La decisione è stata presa dopo giorni di violente manifestazioni, seguite alle esplosioni del porto di Beirut.

Le dimostrazioni accusavano i leader del Paese, la loro negligenza e corruzione come responsabili delle esplosioni. Il governatore di Beirut, Marwan Abboud ha aggiornato le cifre del disastro del 4 agosto: i morti sarebbero 220 e vi sono 110 dispersi; i feriti hanno raggiunto la quota di 6mila. Fra le vittime vi sono molti lavoratori stranieri e guidatori di camion che operavano nel porto.

Diab era stato nominato lo scorso gennaio, e doveva essere premier di un governo tecnico, capace di rimettere in piedi l’economia del Paese e ridare fiducia alla popolazione, che da mesi accusava di corruzione, inettitudine e interessi privati la classe politica.

Due giorni fa, Diab aveva chiesto almeno “altri due mesi” per attuare alcune riforme, ma le manifestazioni sempre più violente e le dimissioni di molti suoi ministri, lo hanno costretto a gettare la spugna.

Nel suo discorso egli ha rivendicato la bontà del cammino del suo governo, ma ha anche detto che la corruzione nel Paese “è come un muro fortificato da una classe che ricorre a tutti i mezzi sporchi per resistere e preservare i suoi guadagni”.

La comunità internazionale segue da vicino gli sviluppi. Il ministro francese degli esteri, Jean-Yves Le Drian, ha chiesto la “formazione rapida” di un nuovo governo che risponda alle esigenze della popolazione e che risponda alle sfide principali del Paese, “specie la ricostruzione di Beirut e le riforme, senza delle quali il Paese va verso la dissoluzione economica, sociale e politica”.