Covid-19: 5,5 milioni di indonesiani perderanno il lavoro. In 4 milioni rischiano la povertà
di Ati Nurbaiti

Timori per la crescita dei contagi. Il lockdown “parziale” ha favorito la diffusione del coronavirus. Imprenditori: risolvere prima la crisi sanitaria e poi riavviare la produzione. Medici: La popolazione deve restare a casa. La pandemia ha rivelato il divario sociale ed economico nel Paese. I poveri i più colpiti dall’emergenza. Sussidi a famiglie e imprese per aiutare la ripresa.


Jakarta (AsiaNews) – A causa della pandemia, quest’anno 5,5 milioni di indonesiani perderanno il lavoro e 4 milioni rischiano di finire in povertà. Al 6 settembre, i morti nel Paese sono 8.025, con 194.109 casi di contagio e 138.575 guarigioni. Data la scarsa capacità di effettuare test con i tamponi, e di rintracciare i contatti delle persone contagiate, le autorità temono una crescita delle infezioni.

Per timori di disordini sociali, il governo del presidente Joko “Jokowi” Widodo ha evitato di imporre un lockdown integrale. Esso ha introdotto invece “restrizioni sociali su larga scala” o una serie di limitazioni alla mobilità.

Parlando di “nuova normalità”, l’esecutivo ha allentato i controlli. Nel rispetto di protocolli rigorosi, sono permesse le attività essenziali; anche le imprese possono operare. Ma molti cittadini non hanno rispettato le misure di contenimento nei luoghi di lavoro, e hanno partecipato a incontri sociali e alle preghiere settimanali.

Gli analisti attribuiscono la colpa della confusione alle burocrazie nazionali e locali, che hanno dato segnali contrastanti su quale sia la reale priorità: la salute pubblica o la ripresa economica. Anche gli imprenditori hanno detto che la crisi sanitaria deve essere prima superata perché l'economia si riprenda.

I focolai emergenti e potenziali di Covid-19 includono fabbriche, dormitori e famiglie allargate. Secondo le autorità elettorali, a rischio sono anche i grandi staff di 141 candidati che si sono registrati la scorsa settimana per le elezioni locali di dicembre.

Al momento, in base a quanto riferito dalle associazioni nazionali di categoria, 104 medici e 70 infermieri sono morti per il coronavirus. In mezzo al lutto, e nonostante le lodi per il loro “eroico” servizio, gli operatori sanitari continuano a ripetere: “Per favore, restate a casa”.

La pandemia ha rivelato in modo più evidente il divario sociale ed economico nel popoloso Paese (quasi 270 milioni di abitanti). I tassisti in motocicletta sono tra coloro che non possono restare a casa; devono cercare un reddito alternativo o affrontare pesanti multe per le esigenze di distanziamento fisico.

Lo scarso accesso a Internet e alle strutture sanitarie e igieniche è ormai sempre più evidente nelle zone che ne sono prive in maniera cronica. Nella remota isola di Papua, il 90% dei letti d’ospedale è occupato; sempre meno neonati ricevono la vaccinazione di base per malattie curabili.

Per l’apprendimento a distanza, è disponibile un sostegno online per i genitori che devono fare da tutor ai bambini. Malgrado i sussidi governativi, la maggior parte di essi ha problemi però a pagare le spese per la connessione internet.

Le linee guida per restare a casa, mantenere il distanziamento e lavarsi spesso le mani – dicono gli esperti – non tengono poi conto delle realtà vissute dai poveri. È il caso ad esempio delle famiglie di tre generazioni che vivono in spazi angusti. Gruppi e attivisti umanitari stanno aiutando queste comunità per quanto riguarda il sostentamento, il rischio di truffe e le informazioni sanitarie. Il tutto mentre buona fetta della popolazione nega che vi sia una emergenza nel Paese.

Il ministro dell'Industria osserva che mentre durante la crisi finanziaria asiatica del 1998 le piccole e medie imprese hanno sostenuto l'economia, ora queste sono tra le più colpite. Il governo le ha aiutate con un assegno mensile di 2,4 milioni di rupie indonesiane (137 euro).

Per incrementare la spesa delle famiglie, l’esecutivo ha stanziato anche sussidi salariali per 15,7 milioni di lavoratori. Gli altri sforzi puntano a ridurre la burocrazia, e a correggere la disparità dei dati sulla popolazione, che ha causato errori frustranti nella distribuzione degli aiuti.