Riyadh, inconsistente la riforma della giustizia: ancora pena capitale per i minorenni

Ad aprile il re Salman aveva cancellato la condanna a morte per gli under 18. Ma i procuratori sauditi continuano ad armare la mano del boia. Human Rights Watch: la monarchia wahhabita usa “spin doctor” per uno sbandierato progresso che appare inesistente. Uno degli imputati aveva nove anni all’epoca dei fatti.


Riyadh (AsiaNews) - I procuratori sauditi nei processi a carico di minorenni continuano a chiedere la condanna a morte dell’imputato, nonostante il recente annuncio della cancellazione della pena capitale per quanti hanno meno di 18 anni al momento in cui è avvenuto il reato. A confermarlo sono gli attivisti di Human Rights Watch (Hrw), secondo cui Riyadh ha chiesto di recente l’esecuzione di otto giovani, accusati di reati di pensiero e di aver promosso proteste. In un caso la persona aveva solo nove anni all’epoca dei fatti. 

Ad aprile re Salman aveva emanato un decreto, che metteva fine alle condanne a morte per i crimini commessi da minori e commutando la pena a un massimo di 10 anni di prigione in un carcere minorile. Tuttavia, al momento della pubblicazione dell’atto non veniva indicata la data di entrata in vigore della riforma mentre gruppi attivisti hanno avvertito che la pena capitale resta sempre valida.

Peraltro la convenzione Onu per i diritti dell’infanzia, che Riyadh ha sottoscritto, afferma che la pena capitale non va applicata per reati commessi da minorenni. Una prassi comune nel regno wahhabita, fra le nazioni al mondo con il maggior numero di repressioni ai diritti umani, perpetrati anche e soprattutto da apparati dello Stato.

Di recente Human Rights Watch ha ottenuto e analizzato le denunce relative a due processi di gruppo, uno dei quali include otto uomini alla sbarra dal 2019. I reati ascritti sarebbero stati commessi fra i 14 e i 17 anni; uno di essi, che ora ha 18 anni, è accusato di un crimine non violento che avrebbe commesso all’età di nove anni. Tutti gli imputati sono stati sottoposti a custodia cautelare in carcere per due anni.

Michael Page, vice-direttore Hrw per il Medio oriente, parla di “spin doctor sauditi” che usano le riforme della magistratura come “marketing” per uno sbandierato progresso che, alla prova dei fatti, appare inesistente. I pubblici ministeri, infatti, “ignorano in modo palese” le disposizioni in chiave riformista e “proseguono come se nulla fosse”. Se Riyadh, conclude l’esperto, fosse seria nel cammino di riforma “del sistema penale, dovrebbe iniziare mettendo al bando la pena di morte per gli imputati minorenni” a prescindere dal reato ascritto. 

Nel caso degli otto minori il pubblico ministero, che fa riferimento in modo diretto al monarca, ha avanzato diversi capi di imputazione che non sembrano affatto reati. Fra questi cercare di “destabilizzare il tessuto sociale partecipando a proteste e cerimonie funebri”, oltre a “cantare slogan ostili al regime” e “cercare di fomentare discordia e divisioni”. Tutti provengono dalla provincia orientale, dove vive gran parte della minoranza sciita spesso oggetto di attacchi e persecuzioni nel regno wahhabita. 

In realtà il decreto non troverebbe applicazione per i reati qisas (nei casi di omicidio) o hudud, quelli riguardanti l’interpretazione che l’Arabia Saudita dà della fede islamica e che prevede pene specifiche. Fonti di Hrw riferiscono che due degli imputati, al-Nimr e al-Faraj, hanno subito entrambi torture durante gli interrogatori e nella fase iniziale della detenzione, oltre a non aver potuto beneficiare dell’assistenza di un legale. 

Lo scorso anno Riyadh ha giustiziato 37 persone, nel contesto di una esecuzione di massa. Una di queste era minorenne all’epoca dei fatti.