Proteste in Mongolia interna: il capo del Partito scarica la colpa sui propri sottoposti

Pechino vuole imporre l’uso del mandarino nelle scuole della regione autonoma al posto della lingua mongola. In settembre studenti di origine mongola si sono rivoltati contro le autorità. Quadri locali del regime accusati di aver gestito male la riforma, che deve essere attuata in modo fermo. La popolazione mongola teme per le proprie tradizioni culturali.  


Pechino (AsiaNews) – Il segretario del Partito comunista cinese (Pcc) nella regione autonoma della Mongolia interna ha rimproverato i funzionari locali per la gestione della riforma scolastica, che in estate ha dato luogo a proteste di massa. Secondo il governativo Inner Mongolia Daily, Shi Taifeng ha espresso la sua insoddisfazione il 9 novembre, durante un meeting nel distretto di Xilin Gol.

In settembre studenti di origine mongola si sono rivoltati contro le autorità, che hanno deciso di ridurre l’uso della loro lingua natia nei programmi scolastici a favore del mandarino. Le dimostrazioni e i boicottaggi nella Mongolia interna sono stati i più significativi da decenni; gli studenti delle classi superiori hanno abbandonato le lezioni, mentre molti abitanti hanno ritirato i propri bambini dalle scuole.

Pechino ha represso le proteste in tempi rapidi, impiegando veicoli corazzati attorno gli istituti scolastici epicentro delle tensioni. L’intervento delle Forze di sicurezza cinesi ha scatenato proteste anche nella confinante Mongolia. Il primo ottobre decine di manifestanti si sono radunate nella capitale Ulaanbaatar, chiedendo il rilascio degli abitanti di etnia mongola arrestati in Cina.

Nel redarguire i propri sottoposti, Shi Taifeng ha affermato che le autorità della Mongolia interna hanno avuto “enormi problemi a promuovere l’uso del programma [scolastico] nazionale”. Secondo Shi, ciò è dovuto al fatto che “siamo lontani dal comprendere le esigenze della nostra minoranza etnica e abbiamo fallito nel forgiare un forte senso di appartenenza alla nazione cinese”.

Analisti osservano che l’intervento di Shi non è una condanna alla riforma scolastica in se, ma una critica al modo in cui i membri locali del Partito l’hanno portata avanti: forse un modo per salvare la propria posizione. L’11 novembre, sulle colonne del Quotidiano del popolo, Wang Chen ha chiarito la posizione del regime sulla riforma scolastica. Per il vice presidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, i funzionari del Pcc devono attuare la politica linguistica ufficiale in modo “fermo, esaustivo e incondizionato”.

In base alle direttive delle autorità, tutte le scuole della Mongolia interna hanno l’obbligo di insegnare diverse materie in mandarino entro il 2022. Regole simili sono state imposte in Tibet e nello Xinjiang, dove secondo i critici il Partito cerca di sopprimere le tradizioni culturali di tibetani e uiguri turcofoni. Allo stesso modo, la popolazione mongola teme che la decisione del governo di limitare l’uso del proprio idioma nelle scuole porti all'estinzione della propria cultura.