Phnom Penh, due monaci costretti a fuggire in Thailandia

Bor Bet e Sim Sovandy sono scappati per evitare l’arresto: avevano manifestato per il rilascio di un leader sindacale. I due hanno trascorso oltre due mesi nascosti nella foresta, poi dopo un viaggio di due giorni sono riusciti a superare il confine. Polizia e autorità hanno setacciato il tempio e le loro case.


Phnom Penh (AsiaNews) - Due monaci e attivisti hanno abbandonato in gran segreto la Cambogia e si sono rifugiati, dopo un lungo e difficile cammino, in Thailandia per sfuggire all’arresto da parte delle autorità. I due affermano di essere vittime di una campagna di repressione lanciata dal partito di governo Cpp (Cambodian People’s Party) per aver aderito a una campagna di protesta in luglio. Con essa manifestanti e attivisti chiedevano il rilascio del leader sindacale Rong Chhun

I due religiosi buddisti - il 34enne Bor Bet e il 54enne Sim Sovandy - raccontano a Radio Free Asia (Rfa) di aver seguito una guida khmer attraverso la giungla per due notti e due giorni, prima di arrivare alla frontiera che divide i due Paesi. Superato il confine, essi sono saliti a bordo di una automobile e un tassista li ha condotti in un luogo sicuro nel centro della Thailandia. 

Secondo quanto riferisce Bor Bet, la coppia ha scelto la fuga perché le autorità “ci stavano dando la caccia” e volevano costringerci ad abbandonare l’abito monacale. Essi sono diventati dei “ricercati”, prosegue, dopo essersi rifiutati di unirsi al Cpp, respingendo al mittente le forti pressioni esercitate anche dai vertici del buddismo ufficiale, legato al governo. 

I due vivevano nel tempio buddista di Prayuvong, a Phnom Penh, e hanno abbandonato la struttura il 4 agosto, nascondendosi nella giungla lungo il confine con la Thailandia. Bor Bet e Sim Sovandy sono rimasti nascosti, dormendo all’addiaccio, per oltre due mesi; per tutto questo tempo funzionari, poliziotti e capi buddisti li hanno cercati al tempio e nelle loro abitazioni di origine. 

Dietro la caccia all’uomo, spiegano, vi sarebbe la decisione di unirsi alle proteste di piazza per la liberazione di Rong Chhun, presidente della confederazione sindacale cambogiana e membro del Cambodian Watchdog Council. Decine di attivisti e membri della società civile hanno condannato il suo arresto, chiedendone la scarcerazione e il proscioglimento dall’accusa di “sedizione” per aver criticato la gestione governativa della controversia sui confini con il Vietnam. 

Interpellato da Rfa, il portavoce della polizia della capitale nega vi sia il mandato di arresto a carico dei due religiosi. Tuttavia, attivisti e società civile fra cui il portavoce del movimento Adhoc Soeng Senkaruna ritengono “assai probabile” un loro fermo nel caso di ritorno in Cambogia. Dal loro esilio i due monaci hanno fatto sapere di voler trovare una sistemazione stabile in Thailandia, da dove rilanceranno le loro iniziative e attività a favore della giustizia sociale.