Emergenza pandemia: la democrazia di Taiwan, meglio dei ‘mandarini hi-tech’
di Emanuele Scimia

Grazie all’efficace contenimento del Covid-19, nel 2028 Pechino dovrebbe diventare la più grande economia del mondo. Rimangono dubbi sui dati sanitari ed economici forniti dai cinesi. La democrazia taiwanese è la vera storia di successo nella lotta al coronavirus, più della tecnocrazia cinese o di Singapore. Nella regione Asia-Pacifico cresce la domanda di partecipazione politica.


Roma (AsiaNews) – Crescita all’8,2% il prossimo anno e al 5,4% nel 2022: le previsioni sul prodotto interno lordo cinese pubblicate oggi da Nikkei sembrano decretare il trionfo dei mandarini hi-tech: grazie all’intelligenza artificiale, ai Big Data e al computing quantistico, essi sono riusciti dove i pianificatori sovietici hanno fallito. Numeri che l’Occidente democratico può solo sognarsi nel futuro post-pandemia, che proiettano la Cina a scavalcare gli Usa come la più grande economia del globo nel 2028, cinque anni prima delle precedenti previsioni.

I ricercatori del Center for Economics and Business Research dicono che il successo cinese nella lotta al Covid-19 ha accelerato il sorpasso. È il trionfo della tecnocrazia del Partito comunista cinese, dimostratasi superiore al governo della politica, ai parlamenti e al libero dibattito tra i cittadini dei Paesi occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti. “L’efficientismo cinese” è diventato un modello non solo da studiare, ma da replicare. Qualcosa di ciò si vede già nel “mondo libero”, con la subordinazione dell’autorità politica alle indicazioni di organi sanitari non eletti, che spesso hanno portato ad assumere decisioni dal dubbio fondamento costituzionale.

I critici della “via cinese” mettono in guardia che essa rischia di portare al dispotismo tecnocratico. Ancora prima bisogna chiedersi se quella raccontata dalla Cina è una storia veramente di successo. Pechino sostiene di aver superato in modo brillante l’emergenza sanitaria e di aver avviato una rapida ripresa economica. In questi giorni le autorità del gigante asiatico hanno richiuso però il Paese di fronte a una ventina di casi di contagio: i dipendenti pubblici non possono lasciare Pechino fino al termine del Capodanno lunare in febbraio; il resto della popolazione è invitata a non lasciare la propria provincia se non per spostamenti “essenziali”.

Poi vi sono i dubbi sull’affidabilità dei dati forniti dal regime cinese, alimentati dagli stessi leader. Il 21 novembre, durante una videoconferenza con i capi di cinque province (Guangdong, Heilongjiang, Hunan, Shandong e Yunnan), il premier Li Keqiang  ha ordinato ai dirigenti locali di “dire la verità” sullo stato economico dei territori da loro amministrati.

In realtà, di successi tecnocratici nella battaglia al coronavirus ce ne sono pochi. Anzi, uno solo: la Cina. Singapore, dove l’ideale democratico della partecipazione è subordinato al pragmatico raggiungimento del risultato, avrà quest’anno un crollo del Pil stimato tra il 6 e il 6,5%: non così lontano dal 7,4% previsto per l’Unione europea, i cui Stati membri sono spesso criticati per la gestione della crisi pandemica.

Nella lotta mondiale al coronavirus chi ha fatto meglio è invece una democrazia. Con quasi 24 milioni di abitanti, una densità di 650 per kmq (decima al mondo), Taiwan non solo ha contenuto la pandemia in modo efficace, ma ha raggiunto quest’anno risultati economici superiori alla Cina. Secondo dati ufficiali e previsioni degli esperti, il Pil cinese chiuderà il 2020 con un +2,1%; quello taiwanese si aggirerà tra il +2,3 e il +2,5%. Il ministero del Commercio e dell’industria di Taipei ha poi calcolato che numerose aziende taiwanesi da tempo presenti in Cina hanno riportato le proprie attività sull’isola: si tratta di investimenti per 1.100 miliardi di dollari taiwanesi (32 miliardi di euro), che hanno generato 100mila nuovi posti di lavoro.

I fatti dicono che non è così scontato che la corrente della storia vada verso il “grigio pragmatismo” cinese. Xi Jinping immagina l’Asia-Pacifico come una grande comunità di “sviluppo” e “prosperità” comune, fondata su rapporti pragmatici tra i diversi Stati. In questo grande angolo di mondo, la domanda di partecipazione pubblica è però in continua crescita, come dimostrato dal movimento democratico a Hong Kong, dai giovani dimostranti pro-democrazia in Thailandia e da quelli in Sudamerica.