​Papa: lodare Dio anche nei momenti difficili non serve a Lui, serve a noi

“I santi e le sante ci dimostrano che si può lodare sempre, nella buona e nella cattiva sorte, perché Dio è l’Amico fedele, questo è il fondamento e il suo amore non viene mai meno”, “Nel futuro del mondo e nelle speranze della Chiesa ci sono i ‘piccoli’: coloro che non si reputano migliori degli altri, che sono consapevoli dei propri limiti e dei propri peccati, che non vogliono dominare sugli altri, che, in Dio Padre, si riconoscono tutti fratelli”.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Lodare Dio “sempre, nella buona e nella cattiva sorte”, nel momento delle sconfitte, “ci farà bene”. Perché la lode “non serve a Dio”, “serve a noi” che “lodando saremo salvati”. Lodare Dio come san Francesco che alla fine della vita, ormai quasi cieco, scrisse il Cantico delle creature, canto di lode al Creatore, è stato il tema del quale papa Francesco ha parlato all’udienza generale di oggi, svoltasi nella biblioteca privata. Proseguendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, Francesco ha infatti parlato della preghiera di lode, che è nel cuore dei “piccoli”, che sono la speranza del futuro per la Chiesa e per il mondo,

La catechesi del Papa ha preso l’avvio da “un passaggio critico della vita di Gesù. Dopo i primi miracoli e il coinvolgimento dei discepoli nell’annuncio del Regno di Dio, la missione del Messia attraversa una crisi. Giovanni Battista in carcere, dubita: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3); c’è ostilità nei villaggi sul lago, dove Gesù aveva compiuto tanti segni prodigiosi (cfr Mt 11,20-24). Ora, proprio in questo momento di delusione, Matteo riferisce un fatto davvero sorprendente: Gesù non eleva al Padre un lamento, ma un inno di giubilo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25)”.

In piena crisi, in pieno buio nell’anima di tanta gente, Gesù benedice il Padre, lo loda. Perché? Anzitutto lo loda per quello che è: «Padre, Signore del cielo e della terra». Gesù gioisce nel suo spirito perché sa e sente che suo Padre è il Dio dell’universo, e viceversa il Signore di tutto ciò che esiste è Padre, ‘Padre mio’. Da questa esperienza di sentirsi ‘figlio dell’Altissimo’ scaturisce la lode. Gesù si sente figlio dell’Altissimo”.

“E poi Gesù loda il Padre perché predilige i piccoli. È quello che Lui stesso sperimenta, predicando nei villaggi: i ‘dotti’ e i ‘sapienti’ rimangono sospettosi e chiusi, fanno dei calcoli mentre i ‘piccoli’ si aprono e accolgono il messaggio. Questo non può che essere volontà del Padre, e Gesù se ne rallegra. Anche noi dobbiamo gioire e lodare Dio perché le persone umili e semplici accolgono il Vangelo”.

“Nel futuro del mondo e nelle speranze della Chiesa ci sono i ‘piccoli’: coloro che non si reputano migliori degli altri, che sono consapevoli dei propri limiti e dei propri peccati, che non vogliono dominare sugli altri, che, in Dio Padre, si riconoscono tutti fratelli. Dunque, in quel momento di apparente fallimento, Gesù prega lodando il Padre. E la sua preghiera conduce anche noi, lettori del Vangelo, a giudicare in maniera diversa le nostre sconfitte personali, le situazioni in cui non vediamo chiara la presenza e l’azione di Dio, quando sembra che il male prevalga e non ci sia modo di arrestarlo. Gesù, che pure ha tanto raccomandato la preghiera di domanda, proprio nel momento in cui avrebbe avuto motivo di chiedere spiegazioni al Padre, invece si mette a lodarlo. Sembra una contraddizione. A chi serve la lode? A noi o a Dio? Un testo della liturgia eucaristica ci invita a pregare Dio in questa maniera: «Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva» (Messale Romano, Prefazio comune IV). Lodando siamo salvati. La preghiera di lode serve a noi”. “Paradossalmente deve essere praticata non solo quando la vita ci ricolma di felicità, ma soprattutto nei momenti difficili, quando il cammino si inerpica in salita”. “Perché impariamo che attraverso quella salita, quel sentiero faticoso, quei passaggi impegnativi si arriva a vedere un panorama nuovo, un orizzonte più aperto. Lodare purifica l’anima, ti fa guardare lontano”.

“C’è un grande insegnamento in quella preghiera che da otto secoli non ha mai smesso di palpitare, che San Francesco compose sul finire della sua vita: il ‘Cantico di frate sole’ o ‘delle creature’. Il Poverello non lo compose in un momento di gioia, di benessere, ma al contrario in mezzo agli stenti. Francesco è ormai quasi cieco, e avverte nel suo animo il peso di una solitudine che mai prima aveva provato: il mondo non è cambiato dall’inizio della sua predicazione, c’è ancora chi si lascia dilaniare da liti, e in più avverte i passi della morte che si fanno più vicini. Potrebbe essere il momento della delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, di buio, prega: ‘Laudato si’, mi Signore…’. Francesco loda Dio per tutto, per tutti i doni del creato, e anche per la morte, che con coraggio riesce a chiamare ‘sorella’".

"I Santi e le Sante ci dimostrano che si può lodare sempre, nella buona e nella cattiva sorte, perché Dio è l’Amico fedele, questo è il fondamento e il suo amore non viene mai meno, Lui è sempre accanto a noi, non ci abbandona mai. Lodare il Signore ci farà tanto bene”.