Pluralismo e Pancasila: la lotta contro l’hijab obbligatorio
di Mathias Hariyadi

Per la figlia dell’ex presidente Abdurrahman Wahid non è solo una questione di “uniforme scolastica”, ma di interferenza nella vita sociale. Tre ministri  stilano un decalogo contro l’obbligo del velo. Fa eccezione la provincia di Aceh. Segretario esecutivo Kwi approva l’iniziativa e difende la scuola come luogo di “incontro”.


Jakarta (AsiaNews) - “Non è solo una questione di uniforme scolastica” indossare l’hijab, perché qui si vuole “fare tendenza” con l’obiettivo di “cementare l’ideologia della religione maggioritaria” non solo “in termini di costume, ma pure nella vita sociale a livello di nazione”. È quanto scrive Alissa Wahid, figlia dell’ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid, giovane donna fra le più attive nella lotta a difesa del dialogo interreligioso e nella tutela delle minoranze attraverso il movimento di Gus Dur. Nella recente questione relativa all’obbligo di indossare il velo imposto a una studentessa cristiana del liceo a Padang, nella provincia di West Sumatra, e che ha sollevato polemiche e proteste, l’attivista parla senza mezzi termini di atto di intolleranza. 

“Il nostro ministero per l’Istruzione e la cultura - scrive Alissa Wahid - dovrebbe chiarire che l’ambiente scolastico, nonostante la maggioranza degli studenti sia musulmana, non dovrebbe forzare gli studenti non musulmani a indossare l’hijab”. Il riferimento è alla vicenda occorsa a metà gennaio a Padang quando Elianu Hia, padre di Jenny Hia, si è opposto all’obbligo di indossare il velo per la figlia non musulmana. 

Un caso simile a molti altri nella nazione musulmana più popolosa al mondo, ma che finora erano passati sotto silenzio per la mancata denuncia o i timori di ripercussioni. Vi sono almeno 46 studenti non musulmani che frequentano lo stesso istituto di Jenny Hia, ma solo il padre di quest’ultima si è battuto contro l’imposizione del velo obbligatorio durante l’orario scolastico. 

In risposta alla vicenda, sono intervenuti in queste ore il ministro per l’Istruzione Nadiem Makarim, devoto musulmano sposato con una cattolica e difensore dei principi della laicità dello Stato e del pluralismo sanciti dai Pancasila, il collega degli Interni e il titolare degli Affari religiosi. Nel documento sottoscritto dai tre leader governativi sono delineati i seguenti punti: la scuola è parte della nazione e casa di tutti, a prescindere dall’etnia o fede religiosa; il decreto verrà attuato in tutti gli istituti statali; la scelta relativa alle divise è affidata a insegnanti e studenti, ma non possono essere imposti abbigliamenti o capi che fanno riferimento a una religione; scuole e autorità locali devono rimuovere entro 30 giorni eventuali obblighi [come quello relativo all’hijab] ancora in vigore; eventuali violazioni alle nuove disposizioni, conclude il ministro Makarim, verranno punite secondo la legge e le norme vigenti, con la sola eccezione della provincia di Aceh, l’unica in cui vige la sharia (la legge islamica) e che può derogare a queste nuove norme. 

Interpellato da AsiaNews p. Heri Wibowo Pr, segretario esecutivo della Conferenza episcopale indonesiana (Kwi), plaude all’iniziativa interministeriale finalizzata a promuovere il pluralismo nelle scuole pubbliche del Paese. “A titolo personale - aggiunge - approvo e sostengono questo movimento, che è in linea con lo spirito del Pancasila”. Ed è bello pensare, conclude, che gli istituti siano luogo in cui “può avvenire l’incontro fra studenti” di estrazione diversa.