Yangon, strade bloccate dai dimostranti. Crescono le accuse contro Aung San Suu Kyi
di Francis Khoo Thwe

In diverse città, auto apparentemente in panne bloccano la circolazione su strade e ponti. La “Signora” è accusata anche di aver violato una legge sulla gestione dei disastri naturali, ossia delle direttive anti-Covid. Accuse alla Cina: invia soldati cinesi per combattere la popolazione. Timori per una guerra civile. Crescono le violenze.


Yangon (AsiaNews) – Migliaia di persone hanno manifestato oggi in diverse città del Paese per mostrare la loro opposizione al colpo di Stato militare ed esprimere il loro sostegno alla leader democratica Aung San Suu Kyi, vincitrice delle elezioni del novembre scorso.

La protesta è stata definita “campagna dell’auto rotta”: le persone hanno fermato le loro auto nelle strade centrali o sui ponti, con il cofano aperto, come se le loro auto fossero in panne. L’espediente serve a bloccare i cingolati dell’esercito e le auto della polizia che vogliono cacciare via i dimostranti.

Il traffico bloccato ha però creato problemi anche a chi voleva manifestare, perché ha reso difficile raggiungere il luogo del raduno.

Intanto, all’udienza on-line del governo d’emergenza contro Aung San Suu Kyi, alle accuse di possedere illegalmente dei walkie-talkie, è stata aggiunta un’accusa più pesante: la “Signora” avrebbe violato una legge sulla gestione dei disastri naturali. Tale accusa è stata usata in questi mesi contro coloro che violavano le regole anti-pandemia. Soprattutto, con accuse simili, la leader democratica rischia di rimanere agli arresti domiciliari per un periodo indefinito e senza processo.

Dopo i divieti di raduno lanciati dalla giunta, quelle di oggi sono fra le più grandi manifestazioni, e soprattutto mostrano che la popolazione non si dà per vinta. Gli appelli a manifestare e a contrastare l’esercito si moltiplicano anche sul web, che viene bloccato a singhiozzi. Anche le operazioni militari divengono più pesanti e massicce. Nella popolazione, sfibrata dal dover rivivere una dittatura che sembrava ormai superata, si accusa l’esercito e i generali di voler “distruggere il Paese e il futuro dei nostri figli”.

Tom Andrews, inviato speciale dell’Onu per il Myanmar, teme che la situazione possa andare sempre più fuori controllo, e che le violenze contro la popolazione possano scatenare una guerra civile. “Temo che i fatti di oggi – ha detto – abbiano un potenziale di volenza su scala maggiore… che potrebbe far precipitare i militari nel commettere crimini ancora più gravi contro il popolo del Myanmar”.

Nel Paese si susseguono voci che la Cina avrebbe offerto proprie truppe alla giunta, per evitare che i soldati birmani siano fermati dalla gente e vengano convinti a disertare.

Pechino ha negato di sostenere il governo militare in alcun modo, sebbene al Consiglio di sicurezza dell’Onu abbia fermato una mozione di condanna del colpo di Stato.

Intanto si allunga la lista delle violenze. Una donna 20enne, colpita dalla polizia a Mandalay, rischia ormai di morire.  Ieri, a Maungmya, sei manifestanti sono stati feriti dai proiettili di gomma della polizia. L’esercito afferma che i dimostranti hanno lanciato sassi contro i soldati, ferendone diversi.

Zaw Min Tun, portavoce della polizia, ha dichiarato che due giorni fa, durante una protesta a Mandalay, un poliziotto è stato ucciso.