Beirut, cresce il consenso sulla conferenza internazionale lanciata dal card. Raï
di Fady Noun

Il porporato ha incontrato l’ambasciatore saudita, tornato dopo due mesi di assenza in Libano. Relegato ai margini della trattativa il Primo ministro incaricato Saad Hariri. Dubbi e incertezze attorno all’inchiesta sull’esplosione al porto dopo le dimissioni del giudice Sawan. Servono investigatori dall’esterno.


Beirut (AsiaNews) - L’appello per una conferenza internazionale patrocinata dall’Onu, per stappare il Libano dalla crisi costituzionale in cui è piombato da tempo, lanciata a inizio mese dal capo della Chiesa maronita card. Beshara Raï, acquista un crescente consenso sul piano locale e globale. La proposta ha ricevuto nel fine settimana un sostegno indiretto da parte dell’Arabia Saudita. Di ritorno nel Paese dei cedri dopo un assenza di due mesi, interpretata da molti come un segno di “disinteresse” da parte di Riyadh in merito alle vicende libanesi, l’ambasciatore saudita in Libano Walid Boukhari si è impegnato in modo attivo a riannodare il filo del dialogo. Con la classe politica, prima di tutto, mentre resta per ora relegato ai margini il Primo ministro incaricato Saad Hariri, escluso dalle trattative. 

Dalla sede patriarcale di Bkerké, dove si è recato in visita il 19 febbraio scorso (nella foto), l’ambasciatore saudita ha rinnovato l’impegno del proprio Paese all’unità nazionale, alla pace civile e all’accordo di Taëf. “Le prese di posizione nazionali del patriarca catturano l’attenzione della comunità nazionale e internazionale” ha affermato, prima di sottolineare “la necessità di una applicazione corretta dell’accordo di Taëf del 1989, garante dell’unità nazionale e della pace civile in Libano”. “Il regno dell’Arabia Saudita desidera che il Libano ritrovi il lustro di un tempo e il suo ruolo di pioniere” ha proseguito Boukhari. Riyadh resterà sempre “l’amico più vicino al popolo libanese e alle sue istituzioni costituzionali”. E ha aggiunto: “La memoria politica del Paese testimonia che il popolo libanese non si stanca mai di lottare per la preservazione del suo vivere in comune nell’unità”. 

L’Arabia Saudita rimprovera al Primo ministro incaricato di mostrarsi sin troppo accondiscendente verso Hezbollah, e si affianca agli Stati Uniti nel chiedere che questo partito sia escluso dal nuovo “governo di scopo” evocato dal presidente Emmanuel Macron in cambio di un aiuto economico strutturale e capace di rispondere al collasso economico del Libano. Una nazione in cui la moneta locale ha perso oltre l’80% del proprio potere di acquisto, rispetto ai livelli raggiunti a fine 2019. 

Dal canto suo, il patriarca ha rassicurato il diplomatico circa il proprio attaccamento all’accordo di Taëf e alla pace interna, come confermano alcune fonti interne al patriarcato. Le stesse fonti aggiungono che il suo appello a favore di una conferenza internazionale per trovare una via di uscita alla crisi del Libano, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è di natura pacifica. 

In una recente omelia il capo della Chiesa maronita aveva affermato che per “salvare” il Libano è ormai indispensabile una conferenza internazionale patrocinata dall’Onu. Essa è anche la sola via per impedire alla nazione di “piombare nell’oscurantismo e di capitolare davanti ai progetti transnazionali contrari all’essenza del Libano”, con un chiaro riferimento alle ideologie fondamentaliste professate da alcuni gruppi islamici. La sede patriarcale ha rinnovato l’impegno per “accordare la priorità alle soluzioni basate sulla civiltà, politica e diplomatica, non alle soluzioni militari”, tagliando corto sulle obiezioni che la sua iniziativa solleva all’interno di Hezbollah o fra i movimenti fondamentalisti islamici.

Non è dato sapere se l’iniziativa di uscita dalla crisi lanciata l’estate scorsa all’indomani della catastrofica esplosione di 7.500 tonnellate di nitrato di ammonio nel porto di Beirut sia stata oggetto di dialogo fra i due uomini. Tuttavia, alcuni osservatori non hanno mancato di far notare come uno dei primi diplomatici incontrati da Boukhari al suo ritorno in Libano sia stata l’ambasciatrice francese Anne Grillo, e che si parla di con insistenza di un viaggio del presidente Macron nel Golfo, in particolare in Arabia Saudita.

Inoltre, il capo della Chiesa maronita ha ricevuto nel fine settimana anche due oppositori del regime del presidente Michel Aoun, Fares Souhaïd (Saydet el-Jabal) e Ahmad Fatfat (Iniziativa nazionale). I due uomini lo hanno informato della loro intenzione di formare un fronte unito e di recarsi la prossima settimana come delegazione unitaria presso la sede patriarcale per proclamare il loro sostegno alle sue posizioni “inter-comunitarie”.

Secondo alcune fonti del palazzo presidenziale a Baabda, il fatto che sia stato rimosso dall’inchiesta il magistrato che istruisce le indagini sulla catastrofica esplosione del 4 agosto al porto di Beirut (che ha provocato oltre 208 morti, migliaia di feriti e senza tetto) è un segnale ulteriore della situazione di criticità attraversata dalle istituzioni in Libano. Ed una ulteriore giustificazione della necessità di una conferenza internazionale “per far uscire il Paese dalla sua crisi esistenziale, come già avvenuto in passato per porre fine alla guerra civile (1975-1990), o per mettere fine a quella con Israele del luglio 2006 grazie alla risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza”.

Il card. Raï sulle dimissioni del giudice Sawan

“Le dimissioni del giudice Sawan rafforzano la nostra richiesta di collaborazione con gli investigatori internazionali” ha affermato ieri il card. Béchara Raï nella sua omelia domenicale, precisando che “l’unico obiettivo della conferenza internazionale è far rinascere il Libano, restituirgli la sua vitalità, la sua identità, la sua neutralità positiva, la la sua imparzialità e il suo ruolo di fattore stabilizzante nella regione”.

“Inoltre - aggiungono fonti della sede patriarcale rilanciate dalla stampa - l’iniziativa francese non è forse una forma di internazionalizzazione?”. E insistere sul fatto che non stiamo andando verso un’Assemblea Costituente, ma verso una riaffermazione delle due grandi costanti del Libano: l’accordo di Taif e il rispetto dell’attuale Costituzione. “L’iniziativa del capo della Chiesa maronita - conclude la fonte - passa attraverso un legame a doppio filo agli organi costituzionali libanesi, arabi e internazionali, e non mira a modificare il regime o il partenariato islamo-cristiano”.