Mons. Marcuzzo: oltre speranze e delusioni, una Chiesa viva e missionaria
di Dario Salvi

Il vescovo di Terra Santa ripercorre i 60 anni in una comunità cristiana “in evoluzione”. Archiviata la presidenza Trump e l’era Netanyahu non si vedono comunque “spiragli postivi”. Fra gli obiettivi “rafforzare l’impegno verso i migranti”, la formazione teologica e l’unità salvaguardando le diverse peculiarità. 


Gerusalemme (AsiaNews) - Una regione che vive una “alternanza di speranze e delusioni” e una Chiesa chiamata a “mantenere viva l’esperienza missionaria”. Così mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo - già vescovo ausiliare che ha da pochi giorni lasciato l'incarico di vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini per raggiunti limiti di età, pur restando attivo nella pastorale - racconta le tensioni israelo-palestinesi e una comunità cristiana in “evoluzione”. Nel fine settimana il prelato ha celebrato le cresime in una piccola parrocchia al confine fra Jenin e Nazareth, perché la gioia dell’annuncio vince “la delusione sul piano politico per una pace mai arrivata”. Di seguito, l’intervista a mons. Marcuzzo:

Dalla guerra-lampo a Gaza alla fine dell’era Netanyahu, che prospettive si aprono nella regione?
Viviamo un’alternanza di speranze e delusioni, delusioni e speranze. Ora abbiamo un governo diverso [guidato dal primo ministro Naftali Bennett], che non presenta elementi di novità, ma è comunque un fattore di cambiamento. Dopo la presidenza Trump negli Stati Uniti non si vedono spiragli positivi e l’idea di un territorio per due Stati non appare più possibile. Serve un arbitro forte, ma l’Onu è debole e gli Usa sono troppo parziali [anche con Biden]. Per Gaza la situazione è uguale a prima, la gente è stanca di guerre, violenze, di vivere in una prigione a cielo aperto.

I vertici del Patriarcato hanno visitato i cristiani della Striscia. Quale realtà avete incontrato?
Abbiamo incontrato i 1.234 membri della comunità, li conosciamo uno a uno, e li ammiriamo per la forza e il coraggio. Sono bravi a resistere, ci hanno detto che vorrebbero partire, ma non vi è alcuna possibilità, allora restano cercando di essere “il sale e la luce del mondo”. Per fortuna i cristiani possono lavorare, grazie alle scuole e agli ospedali, al centro per portatori di handicap e alla Caritas, che rappresentano uno sbocco fondamentale a livello professionale. 

È di questi giorni una serie di nomine del patriarca Pizzaballa che, dopo il mandato da amministratore apostolico, esercita nel pieno delle funzioni. In quale prospettiva si inquadrano? 
Il patriarcato prosegue il percorso di “evoluzione bella”, perché i cambiamenti portano elementi positivi. Nuovi vicari per Amman, Gerusalemme, per la pastorale dei migranti, la comunità ebraica e Cipro. Vogliamo garantire continuità alla missione nella terra di Cristo, infondendo elementi di novità secondo le idee di papa Francesco: sinodalità, l’anno di san Giuseppe, la Sacra Famiglia in viaggio per i Paesi arabi. E ancora, rafforzare l’impegno verso i migranti - filippini, srilankesi, nigeriani, indiani - sempre più numerosi e dei quali dobbiamo prenderci cura.

Per quali obiettivi?
In primis migliorare la formazione teologica di laici e seminaristi, un aspetto sul quale il nuovo patriarca insiste molto. L’unità, perché pur essendo così diversi fra Giordania, Gaza, Palestina, Cipro, Israele dobbiamo lavorare per rafforzare i legami salvaguardando le peculiarità. Infine maggiore coesione fra sacerdoti, soprattutto locali, che siano Chiesa di Gerusalemme.

Dopo il blocco per il Covid quali prospettive vi sono per i pellegrinaggi, risorsa economica fondamentale per i cristiani della Terra Santa?
Stiamo aspettando! Per il momento non vi sono grandi elementi di novità, ad oggi è arrivato qualche piccolo gruppetto, ma niente di significativo in termini di numeri. Serviranno mesi per riprendere il ritmo, ma quello che ci auguriamo che i futuri pellegrini possano venire con uno spirito nuovo. Essi non sono solo visitatori, turisti ma devono dare testimonianza con uno stile di vita diverso e che sia più consono al percorso che viene compiuto. 

A livello personale, come vive questa nuova fase della sua missione?
Come sempre in passato, con grande gioia ed entusiasmo. Per una fase che finisce, ne inizia una nuova dove sono più libero a livello di impegni ufficiali, ma conservando intatto lo spirito di servizio. Mi trovo nella regione dagli anni ‘60, ciononostante continuo a studiare, ad approfondire i temi che caratterizzano la missione. Oggi [10 luglio] ho una cresima in una piccola parrocchia al confine fra Jenin e Nazareth, che aspetta questo momento con grande entusiasmo.

Qual è il bilancio di 60 anni di vita in Terra Santa?
Sul piano politico delusione per una pace mai arrivata. Sperare di risolvere tutti i problemi non era possibile, ma era lecito sperare in un accordo. Invece si susseguono le guerre, l’intifada e non si vede la fine del tunnel. Sul piano personale mi sento legato alla terra di Gesù e alla Chiesa di Gerusalemme, realtà che molto ha sofferto ma resta esempio di resistenza e resilienza.

Eccellenza, ad oggi vi è un progetto irrealizzato che vorrebbe portare a compimento?
Il desiderio più grande è che si possa sviluppare in modo più esteso e profondo la conoscenza del pensiero cattolico teologico cristiano e dare un nuovo slancio alla patrologia araba, un patrimonio ricco e tutto da scoprire. Siamo solo al 6, massimo 7% del totale dei manoscritti conosciuti e molti ve ne sono ancora da aprire, da scoprire, da studiare. 

Come valuta il dialogo con il mondo ebraico e musulmano?
Deve continuare ed essere più sincero. Vorrei che fosse più leale, un confronto schietto che non cela altri scopi, che si possa liberare dagli schemi classici. Deve essere bello, aperto e stimolante.

Qual è il suo augurio finale al patriarcato latino e, più in generale, alla Chiesa di Terra Santa?
Di mantenere viva l’esperienza missionaria. Io stesso ho fatto sei anni nel Sud Sudan ed è stata un’esperienza indimenticabile, che conservo con molta nostalgia e riconoscenza. Vorrei che tutta la Chiesa di Gerusalemme avesse questo stimolo missionario, andando verso gli altri. Ammiro le parole del papa quando parla di “Chiesa in uscita” dal Cenacolo. Qui è nata la Chiesa per poi andare verso gli altri, con le ferite della passione ancora nella mano e un pezzo di pane nell’altra.