Caritas, porto di Beirut: esplosioni ferita ancora aperta che invoca giustizia

Il 4 agosto ricorre il primo anniversario dall’incidente che ha devastato il cuore economico della capitale libanese. Le inchieste concluse con un nulla di fatto. Politici e figure istituzionali hanno opposto clausole di “immunità” alla richiesta di interrogatorio. Padre Abboud: “Abbiamo perso tutto, ma non la fede. Abbiamo esperienza di sangue e supereremo anche questa”. 


Beirut (AsiaNews) - A distanza di un anno la doppia esplosione al porto di Beirut “è una ferita ancora aperta”, mentre i cittadini restano “in attesa di giustizia, di conoscere in nomi dei responsabili di questo incidente”. È quanto racconta ad AsiaNews il presidente di Caritas Libano, p. Michel Abboud, descrivendo “una situazione tuttora molto critica” sotto “diversi aspetti” e legata a doppio filo “alla condizione economica della nazione” e alla crisi politica, sociale e istituzionale. “Vediamo tanta confusione - aggiunge il sacerdote - perché quando la magistratura convoca i politici o membri delle istituzioni per fare domande e interrogarli, la maggior parte si rifiuta e questo non contribuisce a instaurare un clima di fiducia”. 

Dopo 12 mesi, spiega p. Abboud, le difficoltà maggiori si riscontrano sotto il profilo “psicologico”, con molte famiglie “bisognose di sostegno e come Caritas ci siamo subito attivati: molta gente che prima non si vedeva, ora viene a chiedere aiuto per i familiari, per i propri bambini”. Prima dell’incidente “non era diffuso il ricorso al sostegno psicologico, alla terapia e questo è un bisogno fortissimo” emerso nei mesi successivi all’esplosione. I nostri esperti, prosegue, “stanno rafforzando i vari progetti con la collaborazione di medici e sanitari. A questo si affianca la distribuzione di cibo, perché il problema economico ha spinto molte famiglie verso l’indigenza”.

Le devastazioni causate dalla doppia esplosione, considerato il peggior disastro in tempo di pace e pari a un terremoto di magnitudo 4,5, sono testimoniate dai numeri: 214 vittime, 6.500 feriti e 300mila persone rimaste senza casa. Circa 70mila libanesi hanno perso il lavoro per cause collegate alla deflagrazione; 73mila gli appartamenti danneggiati, 9.200 gli edifici, 163 scuole e centri educativi colpiti, insieme a 106 strutture sanitarie, inclusi sei ospedali e 20 cliniche. Ad oggi non vi sono responsabili accertati o imputati condannati perché collegati all’incidente, mentre il Paese dei cedri a 359 giorni di distanza dall’evento è ancora privo di governo. 

Analisti ed esperti definiscono l’esplosione una delle più grandi e potenti fra quelle non nucleari, tanto da devastare gran parte del porto e diverse aree della capitale. La versione ufficiale parla di scoppio indotto da un incendio in un magazzino in cui era stipata - da almeno sei anni -  una vasta scorta di nitrato di ammonio. Poche ore dopo l’incidente, il governatore di Beirut Marwan Abboud aveva descritto una “situazione apocalittica”.

L’indagine non ha sinora prodotto risultati significativi e in una nazione in cui omicidi politici e attentati di alto profilo restano impuniti, molti temono che non sortirà alcun effetto. Diversi membri del governo, del Parlamento e delle principali agenzie di sicurezza hanno evitato gli interrogatori usando le cosiddette clausole di “immunità” previste dalla Costituzione. 

“Il porto - riprende il presidente Caritas - era una fonte economica primaria per il governo e una risorsa per il Paese, per le molte persone che vi lavoravano, ma con l’esplosione tutto si è fermato. Un colpo durissimo” con ripercussioni evidenti anche sotto il profilo sociale ed umano: “Tante opere e cantieri - afferma - si sono fermati, molte case si sono svuotate, tanti non vogliono ristrutturare le abitazioni e rientrare perché avvertono la precarietà della situazione, altri ancora hanno già abbandonato il Libano. Dobbiamo ritrovare delle certezze”. 

Di fronte a una emergenza che continua, l’ente caritativo cristiano risponde ampliando la distribuzione di generi alimentari, kit per l’igiene personale fondamentali al tempo della pandemia di Covid-19, cure mediche e psicoterapia, finanziamenti per la ricostruzione di alloggi. E ancora, cure mediche per persone indigenti che non possono rivolgersi agli ospedali, ormai sempre più saturi e alle prese con una crisi nelle scorte di medicinali o nelle cliniche private dai prezzi inaccessibili per la grande maggioranza. La Caritas, racconta il presidente, ha sinora contribuito “alla ristrutturazione di 1.500 case, ma ora dobbiamo continuare e servono risorse”.

In questo quadro critico, conclude p. Abboud, “è emerso ancora più forte il valore della fede: abbiamo perso tutto, case, scuole, famiglie, beni personali. Ci hanno tolto tutto, ma non sono riusciti a portarci via la fede che resta salda. Non è la prima volta che il Libano sperimenta una crisi, abbiamo superato guerre e morti, abbiamo esperienza di sangue e supereremo anche questa”.