Accademico irakeno: Baghdad come Kabul? Stesso fallimento Usa, ma scenario diverso

L’opinione pubblica irakena critica verso gli Stati Uniti che come in Afghanistan hanno ottenuto i medesimi scarsi risultati nella costruzione di uno Stato dopo anni di occupazione. Il silenzio di Baghdad e il “disprezzo” dell’Isis sull’ascesa dei talebani. Saad Salloum: “neutralità e stabilità” dell’Iraq fattori essenziali per il futuro della regione. L'appuntamento delle elezioni di ottobre.


Baghdad (AsiaNews) - Per l’opinione pubblica irakena “gli Stati Uniti hanno fallito nel costruire uno Stato in Afghanistan, pur a fronte di 20 anni di occupazione“ in cui sono avvenuti profondi “cambiamenti politici e sociali”. È quanto afferma ad AsiaNews Saad Salloum, giornalista e professore associato alla cattedra di Scienze politiche della prestigiosa università di al-Mustaná¹£iriyya a Baghdad, fra le più antiche al mondo. “In modo analogo - prosegue - gli Stati Uniti hanno fallito anche in Iraq, dopo 18 anni di presenza seguita all’invasione del 2003” per estromettere Saddam Hussein allora al potere. “Da qui il paragone fra la storia afghana e quella locale”, con il comprensibile timore che “si possa verificare lo stesso scenario” come aveva già spiegato nei giorni scorsi un sacerdote caldeo di Mosul. 

Ad oggi non si registrano prese di posizione ufficiali o iniziative del governo di Baghdad, che sull’ascesa degli studenti coranici a Kabul - memoria nemmeno troppo lontana di quanto avvenuto a Mosul nell’estate del 2014 - preferisce mantenere un basso profilo. Gli stessi movimenti islamici radicali non si sbilanciano, mentre alcuni osservatori giungono a parlare di “disprezzo” da parte dello Stato islamico (SI, ex Isis) verso i talebani, che si sono visti consegnare il Paese in seguito al ritiro americano. Il grande pubblico, e gli utenti sui social, hanno invece rilanciato immagini e video della grande fuga, con il conseguente caos all’aeroporto della capitale, chiedendosi se questo potrà accadere anche in Iraq.

Ad alimentare le incognite sul futuro il piano del presidente Usa Joe Biden che anche in Iraq intende ridurre in modo significativo la presenza militare entro la fine dell’anno, come comunicato al primo ministro irakeno Mustafa al Kadhimi nell’incontro di luglio. Una situazione di incertezza potrebbe favorire un ritorno su larga scala dei miliziani dell’Isis da un lato e rafforzare le mire di conquista da parte di milizie locali legate e sostenute da Teheran che da tempo operano nel sottobosco politico e militare, con ulteriore spargimento di sangue.

Analisti ed esperti internazionali sottolineano le analogie in termini di corruzione e debolezza degli eserciti dei due Paesi, che potrebbero far temere un crollo dello Stato irakeno così come avvenuto in Afghanistan. “Al tempo stesso - avverte Saad Salloum - il fronte irakeno è diverso da quello afghano: esperienze diverse, anche di successo, come avvenuto nel Kurdistan irakeno, nel nord, dove non vi sono grandi minacce e in cui la politica statunitense ha saputo intrecciare buone relazioni. Inoltre vi è un legame positivo fra Baghdad e Washington, anche da un punto di vista strategico. L’approccio è diverso, come diverso è lo scenario rispetto a Kabul” dove vi sono influenze più marcate di Cina, Russia e Iran da mettere in conto. “Tutto questo - prosegue - fa pensare che lo scenario afghano non si concretizzerà in Iraq, che si avvicina spedito alle elezioni [parlamentari] di ottobre” che daranno vita “ad un nuovo governo”. 

“Certo, anche qui vi sono interessi e pressioni dall’esterno, penso alla Turchia, all’Iran e gli stessi Stati Uniti” osserva lo studioso, ma il Paese è “troppo importante per il futuro del Medio oriente e la sua stabilità fondamentale” per essere abbandonato a se stesso. Co-fondatore dell’Iraqi Council for Interfaith Dialogue e presidente della Fondazione Masarat, Salloum è una delle personalità più autorevoli nel dialogo fra fedi diverse, tanto da ricevere nel 2018 l’ambito Stefanus Prize per la libertà religiosa. “Le nazioni del Golfo - conclude - considerano l’ Iraq come un posto neutro” e ideale per “trattative e negoziati, un crocevia” che riesce a sopravvivere “fra tensioni e interessi contrapposti delle potenze in gioco. Questo grazie anche alle politiche dell’attuale governo, basate su una maggiore neutralità”.