Kuala Lumpur, nuovo no alla cittadinanza ai figli di donne malaysiane e partner stranieri
di Steve Suwannarat

Il governo del neo-premier Ismail Sabri Yaakob ha scelto di ricorrere in appello contro una sentenza della Corte Suprema che la scorsa settimana aveva messo in discussione una situazione discriminatoria. La cittadinanza attualmente è concessa ai figli delle coppie miste solo se è il padre a essere malaysiano. La protesta della società civile: "Diritto tradito".


Kuala Lumpur (AsiaNews) - Ribaltando una sentenza della scorsa settimana dell’Alta corte di Kuala Lumpur, il nuovo governo della Malaysia - il cui premier Ismail Sabri Yaakob si è presentato oggi davanti al Parlamento - ha confermato la sua contrarietà al riconoscimento automatico della cittadinanza per i figli delle donne malaysiane nati da relazioni con cittadini stranieri. L’esecutivo si appellerà all’Alta corte chiedendo una revisione della sentenza, ribadendo con questo atteggiamento una situazione discriminatoria, dato che ai malaysiani sposati con donne straniere la legge garantisce invece il diritto di decidere la cittadinanza dei figli.

Per questo motivo gruppi della società civile hanno immediatamente avviato azioni di protesta: Family Frontiers - organizzazione impegnata per i diritti umani connessi con l’ambito familiare - ha avviato una raccolta di firme contro quello che ha definito un “tradimento di diritti”. Almeno 5.000 le adesioni raccolte in 24 ore alla petizione che chiede al governo l’impegno di ritirare l’appello contro la decisione dei giudici. Anche l’ex ministro per le Donne, la famiglia e lo sviluppo delle comunità, Hannah Yeo, parlamentare dell’opposizione, ha bollato come “insensata e crudele” la mossa governativa che mostrerebbe la volontà di perpetuare “questa palese ingiustizia”.

Sulla decisione del governo, la cui attuazione è stata delegata all’Avvocatura di Stato, pesano diversi elementi. Il contenzioso risente infatti delle politiche tradizionalmente favorevoli alla maggioranza di etnia malese - di poco superiore alla metà della popolazione - alla quale i partiti al potere hanno garantito spazio e benefici per opportunità politica e comunanza di fede islamica. Un presunto ”sentire comune” ha dato luogo a situazioni arbitrarie nei confronti delle minoranze etniche e religiose (i cristiani sono meno del 12% nel Paese). La situazione risente anche della persistente tensione tra la legge civile e quella di ispirazione religiosa che - soprattutto nell'ambito del diritto di famiglia - viene spesso utilizzata dai giudici nelle controversie tra musulmani e, a volte, imposta anche sui non musulmani.