Ankara, avvocati a processo per aver criticato il capo degli Affari religiosi

Il presidente e il comitato direttivo dell’Ordine forense della capitale accusati di reato di “insulto”. Rischiano fino a due anni di prigione. Procedimento analogo anche per gli avvocati di Diyarbakır. In un sermone del venerdì Ali Erbaş, fedelissimo di Erdogan, aveva condannato LGTBI+ e sieropositivi, definendoli deviati.


Ankara (AsiaNews/Agenzie) - Le autorità turche hanno rinviato a giudizio la presidenza e il comitato direttivo dell’Ordine degli avvocati di Ankara, con l’accusa di aver criticato il (potente) capo degli Affari religiosi Ali Erbaş, che in un sermone aveva condannato persone LGTBI+ e sieropositivi. Se riconosciuti colpevoli per il contenuto della lettera aperta, i membri dell’associazione rischiano una condanna fino a due anni di carcere. 

A innescare la vicenda un sermone tenuto durante la preghiera del venerdì da Ali Erbaş, un fedelissimo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sul binomio nazionalismo e islam ha radicato il proprio potere, in cui aveva stigmatizzato omosessuali, trans e positivi all’Hiv. Omosessualità e adulterio, aveva detto, “portano malattie e depravazione fra le generazioni”.

“Centinaia di migliaia di persone all‘anno sono esposte al virus dell’Hiv causato da questo grande haram (peccato), che passa come adulterio nella letteratura islamica. Combattiamo insieme - conclude - per proteggere le persone da questo tipo di male”.

In risposta, i vertici dell’ associazione hanno diffuso un comunicato in cui attaccavano il leader religioso, accusandolo di discriminare una parte della popolazione e di essere rimasto “indietro nei secoli” con parole che fomentano “odio” dall’alto di un prestigioso incarico statale. In questo documento, i magistrati hanno individuato gli estremi per una incriminazione mettendo in stato di accusa per “insulto” promotori e firmatari dell’iniziativa. 

La prima udienza davanti alla 16ma sezione penale del tribunale di Ankara è in programma il prossimo 11 novembre; gli imputati rischiano da uno a due anni per aver “usato parole ingiuriose verso un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e per aver espresso il suo pensiero, le opinioni o il suo credo”. 

Il sermone risale al 24 aprile 2020 e, all’epoca, l’Ordine degli avvocati aveva presentato un esposto nei confronti del presidente degli Affari religiosi, denunciandolo per “crimine di odio”. Dopo una breve indagine, il capo della polizia ha affermato che “non vi sono ragioni per proseguire con l’inchiesta” e che Ali Erbaş ha solo ricordato e difeso alcuni principi della religione musulmana e, per questo, “non può essere tacciato di crimine d’odio”. Al contempo ha aperto un fascicolo sui denuncianti che ora si trovano a dover affrontare un processo e la prospettiva - nemmeno troppo remota - del carcere in caso di condanna.  

Una analoga inchiesta è stata avviata dal pubblico ministero di Diyarbakır, città a maggioranza curda nel sud-est del Paese, a carico dell’ordine forense locale. Anche in questo caso a far scattare l’inchiesta sono state le critiche rivolte dagli avvocati ad Ali Erbaş.