Ho Chi Minh, l’esodo dei lavoratori che scappano dalla pandemia
di Peter Tran

Centinaia di migliaia di lavoratori fuori sede stanno lasciando i grandi centri industriali per tornare alle loro città d'origine a causa del lockdown. Molte famiglie stanno affrontando il viaggio a piedi. Un padre di famiglia: "Non lavoro da più di tre mesi, a casa saremo al sicuro".


Ho Chi Minh City (Asianews) - File interminabili di motorini stanno congestionato il traffico in uscita dalle provincie di Ho Chi Minh City, Bình Dương e Đồng Nai. Nell’ultima settimana, intere famiglie di lavoratori fuori sede, spinti dalla paura della pandemia e dalla difficile situazione economica, hanno lasciato i grandi distretti industriali per tornare nelle loro città natali. Chi a bordo di motociclette, chi a piedi portandosi in spalla giusto lo stretto necessario: dal primo di ottobre, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici vietnamite stanno affrontando un lungo esodo per scappare dai focolai della pandemia e dall’incertezza lavorativa.

“Stiamo permettendo temporaneamente a questi lavoratori di tornare alla loro città natale - ha dichiarato il signor Loi, vice capo del dipartimento di polizia stradale della città di Tan Tuc -. Si stanno muovendo in un numero incalcolabile e ancora non possiamo stabilire quando questo esodo terminerà”. Secondo le statistiche preliminari, la provincia di An Giang ha già ricevuto più di 30mila lavoratori rientranti, mentre la provincia di Đồng Tháp oltre 27 mila. Numeri enormi che non stanno solo causando problemi alla viabilità locale, ma che rischiano soprattutto di generare un fenomeno di “migrazione del virus”: è il caso di An Giang, dove su 15mila persone rientrate nella sola giornata del 4 ottobre, 130 sono risultate positive al Covid-19.

"Sono andato a Ho Chi Minh City per lavorare come idraulico - ha raccontato il signor Nguyen V.Thiên, in fuga con la moglie e due figli -. Ho lavorato per meno di un mese, poi è scoppiata la pandemia. Sono disoccupato da più di tre mesi ormai a causa del virus e non ho soldi per sfamare i miei figli. Almeno a casa saremo più al sicuro, non dovremo pagare un affitto e avremo di che vivere. Ho guidato la moto tutta notte per evitare il traffico che si sarebbe creato durante il giorno". Dai primi di luglio la curva dei contagi e dei decessi in Vietnam è cresciuta vertiginosamente fino a toccare il picco di 14mila nuovi casi al giorno nella prima settimana di settembre. Una situazione che ha costretto il governo ad assumere misure drastiche come il lockdown nelle zone più colpite.

Dal primo di ottobre, le forze dell’ordine e i gruppi di volontari stanno prestando servizio lungo le arterie principali del Paese del Sud-Est asiatico. “Ci sono famiglie che si sono messe in viaggio a piedi e si trovano a dover camminare per centinaia di chilometri prima di arrivare alle loro case - raccontano i giovani volontari -. Noi distribuiamo acqua potabile, pane e latte soprattutto ai bambini più piccoli”.

Tra le tante famiglie aiutate dai volontari, il signor Kiên ricorda la storia di due sorelle che, a bordo di una moto, stavano tornando a Đồng Tháp dalla provincia di Bình Dương: “Si erano fermate per una breve sosta e vedevo che avevano tra le mani una foto. Mi sono avvicinato a loro e ho chiesto chi fosse la signora ritratta. Mi hanno detto che era loro madre morta di Coronavirus il 3 settembre. ‘Stiamo riportando a casa le sue ceneri’ mi hanno detto”.