Sri Lanka, riflessioni all'alba dei colloqui di pace
di Danielle Vella

Secondo molti, "il governo non farà alcuna concessione ai tamil". Vescovo di Mannar: "Violenze spaventose, qui è la legge della giungla a valere".


Colombo (AsiaNews) - "Il governo non farà nessuna concessione ai Tamil". Lo ha dichiarato un sacerdote dello Sri Lanka di etnia Tamil in riferimento ai colloqui che si terranno la prossima settimana a Ginevra fra rappresentanti del governo e i ribelli delle "Tigri Tamil". La posizione del sacerdote è condivisa dalla maggior parte della sua etnia.

I colloqui di Ginevra sono un'importante indicazione per sapere se nell'isola ci sarà la pace o la guerra. Anche S.P. Thamilselvan, capo dell'ala politica "Liberation Tigers of Tamil Eelam" (Ltte) che lotta per fare della parte nord ed est dell'isola la patria dei Tamil, ha confermato il 15 febbraio che dai colloqui di Ginevra si saprà se ci sarà o meno un conflitto. Dalle elezioni presidenziali dello scorso novembre lo Sri Lanka è infatti vicino alla guerra civile, e il Ltte ha dichiarato di aver acconsentito ai colloqui per rispettare  un precario cessate il fuoco firmato nel 2002. 

I segnali dei colloqui sembrano però giustificare lo scetticismo riguardo una soluzione favorevole, dato che le due parti opposte rimangono in modo deciso sulle loro posizioni. L'intransigenza che regna da entrambe le parti farà con tutta probabilità di questi colloqui l'ennesima opportunità mancata per risolvere il problema etnico che ormai da molto tempo grava sul paese.

Gli alleati ultra nazionalisti del presidente Mahinda Rajapakse si oppongono ad ogni concessione al Ltte. Nei partiti politici della maggioranza Singalese i nazionalisti estremisti giocano un ruolo distruttivo: sin da prima degli anni 50 hanno sabotato gli innumerevoli accordi tra Singalesi e Tamil per aumentare  le ingiustizie sofferte dalla minoranza Tamil ed alimentare così la rivolta.

"Per i sostenitori della linea dura l'unica via percorribile è la guerra. Sono coscienti che il rischio del conflitto è imminente, ma non vogliono cambiare la situazione. Per questa ragione non è facile per nessun governo accettare le richieste delle Tigri", continua il sacerdote Tamil che ha chiesto di non essere nominato.

La strategia dei sostenitori della linea dura spiega perchè Rajapakse non vuole dare una patria ai Tamil nella parte nord ed in quella est dell'isola. La soluzione proposta dal presidente è una "costituzione unitaria", proposta rigettata in modo sprezzante dalle Tigri che fanno di "patria, nazionalismo ed autogoverno" i loro "tre principi cardine".

Ma malgrado la situazione alcuni attivisti per la pace sono ottimisti. Uno di questi è Jehan Perera, giornalista che risiede a Colombo e componente del "Consiglio per la pace nazionale". "Di recente – ha dichiarato – un operatore di Jaffna per la promozione dei diritti umani dei Tamil mi ha detto che sono troppo ottimista, che i colloqui non si concluderanno con la pace. Ma io ritengo che il nuovo presidente non vuole la guerra ma la pace, anche se è nazionalista. Anche i politici che sostengono la linea dura sanno che l'unica strada percorribile è il processo di pace, sanno che la soluzione militare non è praticabile. La vera domanda è: quanto permetteranno al presidente di spingersi avanti nella trattativa?". Secondo Jehan il presidente potrebbe concedere "il 50% di quello che vogliono i Tamil, e forse la società civile sarebbe d'accordo ad arrivare al 60, 65%. Ma che ne pensa il Ltte?".

Tutti si chiedono quanto sono disposte a concedere le due parti. Comunque, il dato positivo è che molte persone sono d'accordo che si tengano colloqui a Ginevra: da quando l'inviato norvegese Erik Solheim ha visitato l'isola a fine di gennaio ed è stato reso noto che si sarebbero tenuti dei colloqui le violenze nel nord e nell'est sono diminuite in modo inatteso.

Il fatto che in qualche luogo delle persone abbiano sia la volontà che la capacità di fermare le violenze ha dato ai Tamil un barlume di speranza. Ma nonostante ciò sono coscienti che il fallimento dei colloqui è verosimile. La rapida e mortale spirale di violenza che è scoppiata lo scorso novembre dopo le elezioni presidenziali, ha detto Rayappu Joseph, vescovo della diocesi di Mannar, nord dell'isola, è come un triste anticipo di quello che potrebbe succedere. Il vescovo ha definito le violenze "spaventose. È la legge della giungla". Le uccisioni designate da gruppi paramilitari erano all'ordine del giorno e gli attacchi alle forze di sicurezza, messe in atto da componenti del Ltte, che però negava ogni responsabilità, erano seguite da selvagge rappresaglie contro i civili. 

"In una guerra oscura la gente non armata veniva attaccata dalle forze di sicurezza e questo era molto allarmante e angoscioso", continua il vescovo. "Ci sono stati così tanti casi di civili assaltati ed uccisi senza pietà, e tante sono anche le storie inventate per difendere gli interessi degli assassini, e tutto questo senza che si sia tenuta nessuna inchiesta".

Molte persone sono state costrette a cambiare diverse volte il luogo in cui vivono. Queste persone hanno detto che non si sentono più in grado di affrontare nuove difficoltà. "C'è un forte senso di frustrazione ed ansietà se pensiamo che dovremo affrontare ancora sofferenze, come profughi", ha dichiarato il capo di una comunità in un centro di assistenza sociale per profughi a nord della città di Vavuniya. "Oltre tutto la gente è lasciata sola. Noi ci sentiamo abbandonati,  nessuno si preoccupa di noi, nessuno ci considera".

Il vescovo Joseph ha fatto appello alla comunità internazionale affinché "venga in questo posto" a vedere qual è la realtà. "Chiederei al mondo di non fidarsi della propaganda di una sola parte politica. La verità ha due facce, e per questo non bisogna credere solo ad una parte e rilasciare dichiarazioni che peggiorano solo la situazione".