Pakistan: anche se non ha prove, la polizia arresta un cristiano per blasfemia
di Qaiser Felix

Un cristiano di Karachi è stato arrestato con l'accusa di aver inviato messaggi blasfemi sui cellulari di musulmani "per vendetta contro gli attacchi alle chiese degli ultimi mesi". Attivisti denunciano: "Non deve rimanere in carcere, ne abbiamo visti troppi morire là dentro senza un processo".


Karachi (AsiaNews) – L'All Pakistan Minorities Alliance (Apma) "chiede al governo di fornire protezione a Qamar David ed alla sua famiglia, di far eseguire da alti ufficiali di polizia le indagini su questo presunto caso di blasfemia e di garantire all'accusato la piena libertà di spiegare il suo gesto".

Con queste parole Shabhaz Bhatti, presidente dell'Apma, interviene sul caso del cristiano di Karachi - che lavora in una mensa di ospedale - arrestato con l'accusa di blasfemia il 24 maggio scorso. Secondo l'accusa, l'uomo avrebbe inviato dei messaggi blasfemi sul cellulare di alcuni musulmani per vendetta contro gli attacchi alle chiese cristiane del Paese compiuti da gruppi di fondamentalisti islamici nello scorso mese.

Khursheed Ahmed, agente di viaggi, avrebbe ricevuto e salvato questi messaggi, grazie ai quali ha denunciato alla polizia di Karachi l'accaduto. Gli ufficiali hanno aperto un fascicolo che incrimina David per blasfemia, secondo quanto previsto dall'articolo 295, comma A e C, del Codice penale pakistano.

"Sono del tutto contrario – spiega Bhatti ad AsiaNews – alla richiesta di trattenere David in carcere: verrebbe torturato e costretto con la forza a confessare tutto ciò che gli viene detto di confessare. Abbiamo chiesto alla polizia di mostrare il famoso messaggio, ma gli agenti hanno rifiutato dicendo solo che questo è blasfemo". "Se si vuole portare avanti questa causa – aggiunge – il testo incriminato deve essere reso pubblico. Altrimenti vuol dire che David è stato arrestato senza prove".

"Ancora una volta – denuncia – la legge viene usata in maniera irregolare. L'articolo penale che prevede la blasfemia non ne dà una definizione: questa può essere interpretata da chiunque, in accordo con la sua mentalità e le sue conoscenze".

La pena prevista per casi come questo arriva alla sentenza di morte o alla prigione per 25 anni. Questa legge è criticata da molto tempo da gruppi internazionali per i diritti umani e dalle minoranze del Paese, che la definiscono "strumento arbitrario di intimidazione".

Fino ad ora, nessuno è stato condannato a morte per queste accuse, ma vi sono stati diversi casi di "morte naturale in carcere" o di omicidi compiuti da estremisti e rimasti impuniti.

Nel maggio del 2004, Javed Anjum, 23 anni, è morto per le ferite riportate in cinque giorni di torture da parte di un gruppo di estremisti islamici che lo volevano convertire all'Islam. Samuel Masih, 32 anni, è stato ferito alla testa dal poliziotto che doveva proteggerlo ed è morto in ospedale dopo alcuni giorni di coma.

Nel 1994, Salamat, Manzoor e Rehmat Masih, di 12, 37 e 42 anni, sono stati bruciati vivi davanti all'Alta Corte di Lahore dove affrontavano il processo per blasfemia. Più tardi, anche Arif Iqbal Bhatti, giudice in quel processo, è stato assassinato.

Nel 1992 Tahir Iqbal, cristiano convertito dall'Islam, è stato avvelenato in carcere, dove è morto. Niamat Ahmer, insegnante, poeta e scrittore, è stato ucciso da alcuni musulmani che lo accusavano di scrivere versi blasfemi. Sempre nel 1992, Bantu Masih, 80 anni, è stato accoltellato a morte davanti alla polizia e Mukhtar Masih, 50 anni, è stato ucciso dalle torture inflittegli in carcere dagli agenti.

"Queste sono tutte prove che quella sulla blasfemia è una legge ingiusta – conclude Asma Jehangir, attivista per i diritti umani – e va abolita. Nel frattempo, chi viene incriminato deve essere protetto fino ad un giusto processo".