Rajasthan, nazionalisti ripropongono il Decreto anti-conversione
di Nirmala Carvalho

Il testo era stato rimandato alle Camere senza la firma del governatore, che ha chiesto di porlo all'attenzione del Presidente in quanto "sembra poter colpire il diritto fondamentale alla libertà religiosa". Vescovo di Jaipur ad AsiaNews: "Preghiamo affinché Dio illumini chi deve giudicare un atto del genere".


Jaipur (AsiaNews) – Il governo del Rajasthan ha inviato per la seconda volta a Pratibha Patil, governatore dello Stato, il controverso Decreto anti-conversione che lo scorso mese lo aveva  rimandato non firmato alle Camere. Spiegando la sua decisione di non siglare il decreto, la Patil aveva chiesto ai politici di rimettere la questioni nelle mani del Presidente dell'Unione in quanto "la proposta di legge sembra poter colpire il diritto fondamentale alla libertà religiosa che la Costituzione garantisce ad ogni cittadino indiano".

"Preghiamo Dio – dice ad AsiaNews mons. Oswald Lewsi, vescovo di Jaipur – affinchè possa illuminare il governatore Patil ed il Presidente indiano e li possa condurre verso la non approvazione del Decreto. Il primo atto di questa vicenda è stato per noi una vittoria ed ora dobbiamo pregare incessantemente affinché questa si ripeta. Chiediamo a tutta la popolazione dello Stato di unirsi a noi nella preghiera affinché chi di dovere ascolti la voce della coscienza".

"Il governo del Rajasthan – sottolinea ad AsiaNews p. Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale indiana – ha fatto quello che ci aspettavamo, ripresentando il testo senza alcun cambiamento. Confidiamo nel fatto che il governatore affronti la vicenda come ha fatto la prima volta e rigetti di nuovo il decreto, che non è altro se non uno strumento legale per perseguitare persone innocenti con il pretesto della religione". "Chiediamo a tutti – conclude – di non piegarsi davanti alle misure draconiane del governo e di continuare nella lotta per la libertà di coscienza, diritto fondamentale di ognuno".

L'appello è ripreso da John Dayal, presidente dell'All India Catholic Union e noto attivista per i diritti umani, che dice: "Se il Decreto passa ci appelleremo all'Alta Corte ma se, come pensiamo, esso dovesse essere prima presentato all'attenzione del Presidente, siamo pronti: abbiamo un appello preparato dal noto giurista Rajeev Dhawan e da altri suoi colleghi che chiede di non trasformare in legge un atto del genere. I maggiori gruppi cristiani del Paese sono mobilitati ed attendiamo che alla mobilitazione contro il decreto si uniscano molti altri".

Il testo del Decreto è stato approvato dall'Assemblea statale all'inizio di aprile, dopo essere stato presentato da Vasundhra Raje Scindia, primo ministro statale iscritto al Bharatiya Janata Party (Bjp, il più grande partito politico indiano, di impronta nazionalista). La discussione in Assemblea è stata comunque sofferta, data la forte opposizione di tutti i partiti non nazionalisti e di diversi gruppi per i diritti umani.

Il Rajasthan Dharma Swatantrik Vidhayak [nome indiano del Decreto ndr] permette alle autorità "l'uso di ogni mezzo per impedire le conversioni" e prevede una pena che va dai due ai cinque anni di reclusione per i colpevoli. Leggi simili sono già in vigore nell'Orissa, nel Madhya Pradesh, nel Gujarat e nel Tamil Nadu. In quest'ultimo Stato il decreto è stato annullato da un'ordinanza statale dello stesso governo – sempre di impronta nazionalista – che lo aveva approvato: il nuovo governo, composto da democratici, ha promesso di abolirlo "nel più breve tempo possibile".

Nel Rajasthan i cristiani rappresentano lo 0,11 % della popolazione, i musulmani l'8 % e gli indù l'89 %.