Profughi asiatici tra disperazione e barlumi di speranza
di Danielle Vella

Nella Giornata Onu del rifugiato il direttore del Jesuit Refugee Service ricorda la tragedia dimenticata dei profughi del Bhutan, ma con un "barlume di speranza". Sempre più grave, invece, la condizione dei rifugiati birmani al confine con la Thailandia.


Roma (AsiaNews) – Nella sesta Giornata mondiale del rifugiato, 20 giugno, il direttore internazionale del Jesuit Refugee Service (JRS), p. Lluis Magrina, torna a ricordare il dramma ignorato degli oltre 100 mila profughi bhutanesi in Nepal, quest'anno con una speranza in più. Che invece non sembra esserci per i rifugiati birmani che vivono ai confini con la Thailandia.

Intervistato da AsiaNews il gesuita invita la comunità internazionale a non dimenticare questi rifugiati, da 15 anni "ammassati" in campi d'accoglienza nel Nepal orientale. Ma allo stesso tempo parla "finalmente di un barlume di speranza per il loro futuro".

La nuova prospettiva è data dai cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi a Kathmandu. "Quando il re era in guerra con i maoisti - spiega – nessuno si preoccupava dei profughi dal Bhutan, questi non rappresentavano un problema urgente". "Ora però - continua - il monarca non ha più il potere assoluto ed è stato raggiunto un accordo con i maoisti: speriamo che nei prossimi due anni la situazione dei rifugiati bhutanesi possa risolversi". Le soluzioni più auspicate sono l'integrazione locale in Nepal oppure il ricollocamento altrove, ad esempio in India.

Dal 1990 circa 130 mila rifugiati provenienti dal Bhutan, ma di origine nepalese, sono confinati in 7 campi a Damak, Nepal orientale; sono fuggiti dal loro Paese negli anni '80 a seguito di un'ondata repressiva innescata dalla richiesta di riforme. Finora gli sforzi da parte del Nepal e di realtà internazionali per rimpatriarli sono falliti.

Il JRS lavora proprio in questi campi in Nepal: offre servizi scolastici per conto della Caritas e dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Una delle missioni più importanti e difficili dei volontari, però, è il semplice sostegno morale e spirituale ai bhutanesi, sempre più scoraggiati per le loro sofferenze.

"Purtroppo - sottolinea  p. Magrina - altri annosi casi di profughi in Asia non mostrano segni di miglioramento". Il sacerdote porta l'esempio dei rifugiati birmani, un numero enorme dei quali vive ai confini con la Thailandia, in campi dove il Jrs guida progetti di istruzione e pastorale. I profughi del Myanmar sono di solito appartenenti a gruppi etnici presi di mira dalla giunta militare, che governa il Paese ed è responsabile di numerose violazioni dei diritti umani.

"Non si intravedono soluzioni nel prossimo futuro per i rifugiati birmani - dichiara p. Magrina – negli ultimi mesi un numero crescente di persone ha sconfinato in Malaysia dalla Thailandia a causa del peggioramento della repressione in Myanmar: se possono partire, lo fanno".