Sfeir rientrato in Libano convoca un'assemblea dei vescovi maroniti

Di ritorno dagli Stati Uniti, Sfeir assicura le speranze Usa per il raggiungimento di un "ragionevole" cessate il fuoco. Ancora bombe su Beirut e sud del Libano, mentre nel nord di Israele il 50% della popolazione è stato costretto a lasciare la propria casa.


Beirut (AsiaNews) – E' rientrato ieri in Libano il patriarca Nasrallah Sfeir, che ha convocato per oggi pomeriggio una speciale assemblea dei vescovi maroniti per esaminare cosa la Chiesa può fare nella difficilissima situazione del Paese, che, ha detto, "ho seguito giorno per giorno, di ora in ora".

Il cardinale Sfeir è tornato a Bkerke al termine di una visita pastorale di una ventina di giorni ai maroniti degli Stati Uniti. Nel corso della sua permanenza negli Usa, egli ha anche vuto colloqui con il vicepresidente Dick Cheney e con il segretario di Stato, Condoleezza Rice.

Proprio riferendosi ai suoi contatti, il cardinale Sfeir ha assicurato che gli Stati Uniti seguono da vicino la situazione libanese e sperano di riuscire a imporre un cessate il fuoco "a condizioni ragionevoli e accettabili".

Al suo rientro, portato da un elicottero americano, il patriarca è stato accolto nell'eliporto dell'ambasciata Usa dal ministro della giustizia Rizk, oltre che dall'ambasciatore statunitense Jeffrey Feltman. In automobile il card. Sfeir ha poi raggiunto la sede patriarcale di Bkerke.

In Libano, oggi, c'è attesa per gli sviluppi della dichiarazione di Olmert, che ha lasciato aperta la possibilità di creare dei corridoi umanitari, e dell'incontro di stanotte tra la Rice e il segretario dell'Onu Kofi Annan, sul quale però non si hanno informazioni. La speranza, nell'attesa dell'arrivo in Medio Oriente del segretario di Stato americano, è naturalmente per l'accettazione da parte di Israele di un cessate il fuoco.

A Beirut e nel sud del Libano continuano intanto bombardamenti, lanci di razzi e fuga degli stranieri. Il timore delle bombe non riguarda, però, solo il Libano: Haaretz dà notizia che nel nord di Israele il 50 % degli abitanti è stato costretto a lasciare le proprie abitazioni. Nelle città di Naharya (57 mila abitanti), Kiryat Shmone (22 mila) e Safed (26 mila) la percentuale degli sfollati è appunto del 50%. A Karmiel (50 mila) hanno lasciato le loro case solo il 30% dei residenti. Per Tiberiade (40 mila) non c'è invece ancora un bilancio vero e proprio, anche se gli alberghi "si sono svuotati del tutto". Il quotidiano non è riuscito invece a stabilire quanti dei 267 mila abitanti di Haifa siano ancora in città.

A Nazareth, principale città araba in Israele, è tornata la calma dopo il lancio di un razzo da parte di Hezbollah, che il 19 luglio ha ucciso due bambini musulmani. La popolazione è comunque in allerta, perché si sente "impreparata" ad un eventuale nuovo attacco. Fonti di AsiaNews riferiscono che ora ci si aspetta che il governo Olmert fornisca attrezzature, come tende e medicinali, per far fronte ad una possibile emergenza. Oggi il leader del "Partito di Dio", Hassan Nasrallah ha chiesto scusa alle famiglie delle due vittime del razzo, definendolo "non intenzionale". Anche analisti del posto ritengono che l'attacco a Nazareth sia stato casuale e non mirava a colpire un simbolo cristiano per lanciare un messaggio all'Europa, come molti hanno subito sostenuto.

Una dichiarazione del ministro della Difesa libanese, Elias Murr, alla tv satellitare Al Arabiya ha intanto confermato il contrasto tra il governo di Beirut ed Hezbollah. Dopo aver dichiarato che se gli israeliani invaderanno il Paese "l'esercito combatterà",  il ministro libanese ha sostenuto che l'esercito "non ha contatti né alcun coordinamento con la resistenza" e che il governo "non lascerà che la resistenza combatta al posto dell'esercito, né l'esercito combatterà accanto ad alcuno".