Beirut sotto le bombe: il 70% dei cristiani pronti ad emigrare

La popolazione si sente abbandonata. Il vescovo maronita di Jbeil parla di una "vera crisi" per i cristiani. Caritas Libano denuncia poca collaborazione delle organizzazioni governative. Inchiesta israeliana ammette: "Cana è stato un errore".


Beirut (AsiaNews) – Continua l'offensiva israeliana in Libano, dove ieri notte sono ripresi i bombardamenti sulla capitale. La popolazione, raccontano testimoni oculari, è "allo stremo", mentre si teme che la riapertura dell'aeroporto internazionale di Beirut dia il via ad un vero e proprio esodo dei cristiani dal Paese dei Cedri.

L'aviazione di Israele ha colpito i quartieri meridionali della capitale libanese, ritenuti roccaforte delle milizie Hezbollah. Era da alcuni giorni che la città, presa di mira dalle forze armate israeliane fin dall'inizio delle ostilità il 12 luglio, non veniva bombardata. Anche la regione settentrionale di Akkar, vicina al confine siriano, è stata colpita nella notte dai jet con la stella di David, mentre va avanti l'offensiva di terra con l'impiego di 10mila uomini. Procedono anche le operazioni delle milizie del Partito di Dio che stamattina presto hanno lanciato razzi sull'Alta Galilea.

Dalle testimonianze raccolte da AsiaNews, i libanesi si sentono ormai abbandonati e senza speranza: tutti sono stanchi di sentir parlare di progetti politici o diplomatici e vogliono solo tornare a vivere in pace, "riprendere le lezioni a scuola, fare il pieno di benzina alle auto". "Il Libano è un Paese abbandonato – dicono – la gente non ha più lavoro ed è senza speranza". Le critiche sono dirette anche allo stesso governo libanese. Il direttore della Caritas locale, il maronita p. Louis Samaha, per esempio, ha chiesto all'organizzazione governativa "Associazione di Soccorso Nazionale" "di collaborare di più" a favore della popolazione.

Ma nella crisi degli sfollati preoccupa molto anche il futuro della presenza cristiana nel Paese. C'è infatti chi suona un preoccupante campanello d'allarme, secondo il quale "più del 70% dei cristiani rimasti ancora in Libano ha intenzione di partire appena riaprirà l'aeroporto internazionale di Beirut". Secondo mons. Bechara Rai, vescovo di Jbeil dei maroniti, si tratta di "una vera crisi" per i cristiani in Libano. E in polemica con chi auspica un "nuovo Medio Oriente", avverte che "quando questo progetto sarà concretizzato, forse sarà troppo tardi per i cristiani". La preoccupazione investe però tutta l'area, se si ricordano le parole di Giovanni Paolo II, secondo il quale "la presenza cristiana in Libano è una condizione necessaria per salvare la presenza dei cristiani in Medio-Oriente".

La solidarietà che Benedetto XVI continua ad esprimere alla regione è accolta con grande favore dai libanesi. Soprattutto dopo l'appello di ieri Papa, quando ha nominato l'orrore di Cana. Riguardo al bombardamento del villaggio libanese che ha sollevato un coro di condanne internazionali verso Israele, un'inchiesta interna resa pubblica oggi rivela che il bombardamento "è stato un errore". Se fosse stato noto che vi erano civili "l'attacco non sarebbe stato effettuato" si legge in una nota della Difesa israeliana. Il Libano sostiene che almeno 54 persone sono state uccise, fra cui molti bambini. Un'indagine di Human Rights Watch parla invece di 28 cadaveri rinvenuti e 13 dispersi. (YH)