Asian Mission Congress: la profezia dell'Apocalisse
di Bernardo Cervellera

Chiang Mai (AsiaNews) - Il delegato pakistano abbraccia quello indiano; il Tamil saluta il cingalese; i membri di Taiwan sono applauditi da tutti; l'indiano di casta brahmina si gloria di essere affianco a un cardinale che appartiene agli intoccabili, ai fuori casta. I saluti a chiusura dell'Asian Mission Congress (Amc) lanciano al mondo un messaggio più commovente e più forte di quello scritto. Tutto ciò che in Asia è guerra e divisione, violenza sull'uomo e umiliante esclusione, qui sembra cancellato. E non è soltanto sentimento: da almeno due anni le comunità asiatiche si preparavano all'evento studiando la lingua inglese – qui usata come medium – preparando canti, riflettendo sulla loro vita e missione. Nella fraternità che si percepisce e nell'entusiasmo che si respira si comprende che non stiamo vivendo un sogno, ma una profezia come quella dell'Apocalisse, dove "una moltitudine immensa… di ogni nazione, razza, popolo e lingua" canta le lodi dell'Agnello (cfr. Apoc. 7, 9-10).

Il Messaggio finale del Congresso sottolinea questo aspetto: l'evangelizzazione (e non il relativismo  multiculturale) è la strada per costruire la convivenza in Asia, un continente segnato da "conflitti etnici e tensioni religiose". I giorni vissuti insieme – continua il Messaggio - mostrano che i popoli dell'Asia possono divenire un unico "grande arazzo" tessuto "dalla Storia di Gesù".

L'Amc, il primo nella storia, era stato voluto per risvegliare il senso della missione fra i cattolici dell'Asia. Molto spesso le situazioni di violenza, persecuzione, emarginazione in cui molte comunità vivono, non danno ai cristiani molte possibilità di esprimersi, spingendo a una vita da ghetto e nel silenzio. Eppure ad ascoltare le storie dei delegati, i cattolici asiatici sanno bene cosa siano la missione e la preoccupazione per diffondere il Vangelo e l'amore all'uomo.

Grazie alla passione per l'evangelizzazione si stanno costruendo in Asia rapporti fra Chiese antiche, come quella libanese o indiana, con milioni di fedeli, e Chiese giovani, come quella mongola, nata nel 1991 e con soli 350 cattolici.

Attraverso l'interesse reciproco fra Chiese, matura anche l'aiuto allo sviluppo: vi sono cattolici vietnamiti che sostengono scuole, asili, cooperative agricole per i montagnard, trascurati e oppressi dal governo di Hanoi; thailandesi della globalizzazione aiutano le tribù dei monti, spesso composte da analfabeti e con un livello di vita leggermente superiore alla sopravvivenza. Vi sono anche Chiese che non dimenticano i loro fratelli perseguitati: dalle Filippine, dalla Corea, dalla Thailandia – oltre che da Hong Kong e Taiwan – vi sono persone che sostengono in modi più o meno segreti l'evangelizzazione e lo sviluppo della Chiesa in Cina.

In Italia molti vescovi, impauriti dalla mancanza di clero, bloccano i loro sacerdoti che chiedono di andare in missione all'estero. In Asia i vescovi spingono i loro preti perché si prendano cura di Chiese lontane. Un vescovo thai ha raccontato che qualche anno fa ha mandato in missione un suo sacerdote. L'anno dopo sono arrivate nel seminario diocesano altre tre vocazioni. "La missione sembra una perdita – è il suo commento – ma in realtà è una semina che porta frutto".

Quello che colpisce dei cristiani asiatici è anche la loro giovinezza, nel senso dell'età. È vero che fra i delegati vi era uno di 101 anni, Peter Chan Lasom di un villaggio vicino a Chiang Mai, ma la media fra i delegati laici era più o meno di 30 anni.

Un fatto da sottolineare è che questi giovani che si convertono alla Chiesa provengono soprattutto da gruppi minoritari, tribali, fuoricasta, segno di un impegno dei cattolici verso di loro. Vi è un impegno della Chiesa anche verso i giovani delle famiglie agiate, membri delle culture dominanti indù, buddiste, musulmane: basta pensare ai milioni di giovani che frequentano scuole e università cattoliche. Il punto è che verso di loro scatta la timidezza non anzitutto dei fedeli laici, ma da parte di sacerdoti e gestori delle scuole. La paura di essere accusati di proselitismo fa cancellare qualunque proposta.

Proprio per questo, se occorre sottolineare qualche carenza nel Congresso, bisogna dire che esso – almeno nelle riflessioni e nel Messaggio – ha sottolineato molte volte "il triplice dialogo" verso i popoli, le religioni e le culture, ma ha detto poco della proclamazione esplicita del Vangelo. Il card. Ivan Dias, prefetto di Propaganda Fide, nella sua omelia, ha messo in chiaro che accanto a una "proclamazione indiretta", valorizzatrice di tutti gli elementi spirituali e della ricerca di Dio nelle religioni, vi è anche una "proclamazione diretta", ancor più necessaria oggi in un continente asiatico che si muove anch'esso velocemente verso una forte secolarizzazione.

Un altro limite evidente è il silenzio sulla libertà religiosa, la persecuzione e il martirio. Gli organizzatori spiegano questa "omertà" come volontà di non suscitare questioni controverse o conflittuali con i regimi dove i cristiani vivono e che potrebbero produrre ancora più sofferenze. Ma in questo modo si rischia di non essere significativi verso tutti coloro, non solo cristiani, che cercano libertà e rispetto dei loro diritti. La libertà religiosa, infatti, è la base di ogni diritto umano, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II e come ci insegna Benedetto XVI.

Va detto che queste carenze sono presenti soprattutto a livello di riflessione e di comunicazione ufficiale, non dentro l'esperienza delle Chiese, come se i teologi della Federazione dei vescovi asiatici vivessero in un mondo staccato dalla vita quotidiana dei fedeli. Fra i cattolici che più percepiscono la necessita di parlare di questi temi vi sono le chiese dei martiri canonizzati da Giovanni Paolo II: i filippini, i coreani, i vietnamiti, i giapponesi, i cinesi. Per essi la libertà religiosa è questione di vita o di morte non solo della Chiesa, ma dell'intera nazione.

Le stesse Chiese, quelle dei martiri, sono anche quelle che vivono di più l'apertura universale della missione. Uno slogan girato spesso in questi giorni, "la missione in Asia agli asiatici", rischiava infatti di essere riduttivo, condizionato da nazionalismo chiuso e dalla poca gratitudine verso i missionari "stranieri" che hanno portato la fede in Asia. Quelle Chiese danno ancora oggi il benvenuto ai missionari stranieri e sanno che il Vangelo va portato in Asia e per tutto il mondo.