Le critiche alla censura cinese "nascono da un fraintendimento culturale"

Lo ha detto ieri il ministro cinese dell'Informazione, secondo cui l'Internet cinese è la più libera piazza di scambio di opinioni del mondo. I giornalisti ed i cyber-dissidenti sono in galera per aver infranto qualche legge, non per aver espresso opinioni sgradite al governo.


Washington (AsiaNews/Agenzie) – Le critiche della comunità internazionale riguardo la censura operata da Pechino nei confronti dei media "nasce da un fraintendimento culturale, ovvero dal fatto che gli occidentali non capiscono il ruolo che svolge l'informazione nella società cinese", che "deve collaborare col governo". Inoltre, "i siti Internet cinesi sono probabilmente il più libero luogo di scambio di opinioni del mondo intero".

Questa teoria è stata espressa ieri da Cai Wu, ministro cinese dell'Informazione, durante un incontro al Centro per gli Studi strategici ed internazionali che si è svolto a Washington nell'ambito di una visita negli Stati Uniti.

Cai ha rigettato il documento sulla libertà di stampa presentato nei giorni scorsi dal Dipartimento di Stato americano – che include la Cina nei Paesi che censurano con maggior efficacia gli organi di informazione – ed ha sottolineato come "la Rete nel Paese offre un servizio libero".

"Con oltre 100 milioni di utenti Internet – ha spiegato – ogni volta che accade qualcosa la notizia viene divulgata nel giro di pochi minuti in tutta la nazione. Il fraintendimento nasce dal fatto che per noi gli organi di informazione devono collaborare con il governo, non porsi come antagonisti".

La Cina, dunque, ha "una diversa concezione dei media: in alcuni Paesi occidentali, una buona notizia non è una notizia da divulgare: vanno in stampa solo quelle cattive o quelle strane".

Il ministro non ha voluto però commentare i numerosi arresti di giornalisti e cyber-dissidenti che ogni anno avvengono nel Paese. "Posso assicurarvi – ha detto – che in Cina non viene arrestato nessuno per aver espresso un'opinione. Se sono in carcere, vi sarà un altro motivo".

In Cina, sono molto numerosi i casi di repressione dei media che avvengono in maniera illegale. Grazie all'aiuto di importanti multinazionali dell'elettronica, Pechino riesce a controllare anche chi usa la Rete per divulgare informazioni non gradite al regime. Inoltre, una nuova legge vieta ai media di pubblicare notizie su "situazioni di emergenza" prima delle dichiarazioni dei responsabili locali, con multe da 50 a 100 mila yuan (5-10 mila euro) per i trasgressori. Ci rientrano notizie come esplosioni nelle miniere, disastri ambientali, pericoli per la salute pubblica e persino gli scontri tra contadini e polizia. La nuova normativa riguarda anche la stampa estera, compresa quella di Hong Kong.

Per quanto riguarda gli organi di informazione stranieri, invece, dal 10 settembre scorso la Xinhua ha pubblicato le regole da seguire per la vendita e la diffusione di notizie da parte di media stranieri in Cina. Tutti i clienti cinesi possono acquistare notizie solo attraverso l'agenzia governativa, la quale ha anche il diritto di "selezionare le notizie" e "cancellare" materiale ritenuto proibito.

La lunga lista delle "proibizioni" comprende ogni notizia che "colpisce l'ordine economico e sociale della Cina e mette in pericolo la stabilità sociale" del Paese o "l'unità nazionale, la sovranità e l'integrità territoriale". Proibito anche diffondere notizie che "minano la sicurezza nazionale della Cina", che possono "incitare all'odio e alla discriminazione fra gruppi etnici" o "la loro unità". Come già per i media locali e internet, anche ai media stranieri è proibito riportare notizie che "violano la politica religiosa della Cina o predicano culti malvagi o superstizioni".

Con effetto immediato, le regole abbracciano testi scritti, foto, grafici e altre modalità di comunicazione. Le agenzie che non si sottomettono a queste regole potranno anche essere private dell'accredito e del diritto di riportare notizie sulla Cina.