Il papa in Turchia è lo stesso di Regensburg
di Samir Khalil Samir, sj
Nei suoi incontri in Turchia, Benedetto XVI ha rilanciato le idee di Regensburg, costruendo possibilità di incontro e dialogo fra occidente e oriente. È urgente condannare la violenza, salvando una laicità “aperta”, contro la tentazione della politica che emargina la religione e della religione che monopolizza la politica.

Beirut (AsiaNews) – L’entusiasmo con cui i turchi hanno salutato Benedetto XVI e i giudizi positivi dei media locali hanno colto tutti di sorpresa. Alla vigilia del viaggio in Turchia dominavano timori (del papa stesso, che si è detto “preoccupato”) e anche paure, legate alle minacce sanguinarie dell’al-Qaeda irakena. Ma soprattutto dominava un pregiudizio verso Benedetto XVI - “anti-turco”, “anti-islam”, “inquisitore”, “conservatore” – e una lettura parziale e ideologica del discorso di Regensburg, definita “la gaffe” , il “ruzzolone” del papato, che ha fatto rischiare la guerra fra l’Islam l’occidente, con quella frase di Manuele II Paleologo e quella “pretesa” di unire Religione e Ragione, escludendo la violenza e facendo intendere invece che Islam e violenza vanno troppo spesso insieme. Ma ora, i commenti più diffusi sono che “finalmente” Regensburg è dimenticata, cancellata, uccisa e che il papa in Turchia ha cambiato “politica”, anzi è diventato un astuto politico che sta attento più alle opportunità che alla verità.

In realtà, il messaggio del papa in Turchia è una continuazione di quello di Regensburg. Il messaggio essenziale di Regensburg era doppio. Anzitutto verso il mondo occidentale, per dire che la secolarizzazione non è una cosa positiva e non permette il dialogo universale. Al contrario, la Ragione permette il dialogo universale a condizione che essa non sia staccata dalla religiosità e dai principi morali. Questa era una critica all’occidente. Vi era anche una critica al mondo islamico, troppo tentato dalla violenza. Questa doppia critica aveva come scopo finale un’affermazione positiva: se vogliamo una pace universale e un dialogo globale, questi sono i due principali pericoli per l’occidente e l’oriente. Il papa sta dunque cercando di costruire un impianto filosofico-teologico in cui mettere al centro una razionalità, ma una razionalità aperta sulla dimensione trascendentale.

Nel viaggio in Turchia, Benedetto XVI ha concretizzato questa visione applicandola a una situazione concreta, ma il suo pensiero rimane lo stesso di Regensburg. Parlando ai musulmani, ha ricordato con discrezione la questione della violenza, ma evitando il fraintendimento avvenuto con le sue parole a Regensburg. Là i media hanno detto che il papa identificava Islam e violenza. In realtà egli puntava il dito su una realtà esistente e pericolosa, quella della violenza nel mondo islamico, senza stabilire un’equivalenza totale fra Islam e violenza. La prova di questo, lo sappiamo, sta nel fatto che il Papa a Regensburg ha citato un unico versetto del Corano, il più positivo, quello per cui nell’Islam, in materia di fede “non c’è costrizione”. Il papa ha suggerito quindi che per l’Islam autentico non si può usare per nulla né la violenza, né la pressione morale. E citando il tanto discusso testo di Manuele II Paleologo – le “novità dell’islam sono solo violenza e male” – egli ha preso le distanze da esso, anche se non ha detto che era falso. Era falso nella sua generalizzazione, ma non nell’avvertire di un pericolo. Il papa ha messo in chiaro che quella non è un’accusa all’Islam in genere, ma un rischio che esiste nell’Islam. E chi potrebbe negarlo?

Da questo punto di vista mi sembra assurdo quanto detto dal presidente degli affari religiosi in Turchia, Ali Bardakoglu. Egli ha detto che scientificamente è impossibile sostenere questa tesi, secondo cui l’Islam nella storia si è diffuso con la violenza. Il che è assurdo. Molti storici musulmani hanno scritto che la diffusione dell’Islam, soprattutto nella prima fase, in Medio Oriente e in Africa del Nord, è avvenuta attraverso la guerra. In altre parti, in Indonesia, Malaysia, India, ecc… è avvenuta invece attraverso il commercio e i sufi (mistici) Spesso l’Islam non ha obbligato la gente a divenire musulmana, ma ha attuato un sistema sociale e politico per cui, per influire su questa società e giocarci un ruolo politico dovevi diventare musulmano. Il sistema sociale previsto dall’islam – e già previsto in parte dal Corano – spinge i non musulmani a divenire musulmani se vogliono avere un ruolo nella società. Cosi’ facendo l’islam ha scremato le comunità cristiane, ridotte sempre di più a minoranze debole intellettualmente, socialmente e politicamente. In questo c’è costrizione, contrariamente a quello che dice il versetto coranico di cui sopra.

Proprio a Bardakoglu Benedetto XVI ha ricordato che la collaborazione fra cristiani e musulmani va fatta mettendo alla base “l’attenzione sulla verità del carattere sacro e della dignità della persona”, in un “rispetto per le scelte responsabili che ogni persona compie, specialmente quelle che attengono… alle personali convinzioni religiose”.

Il discorso verso l’occidente – affrontato nell’incontro del pontefice con il corpo diplomatico ad Ankara - è quello della laicità aperta allo spirituale. Questo tema – già presente a Regensburg -  il papa lo ha ripreso applicandolo alla laicità del governo turco, domandando libertà religiosa e di coscienza. In teoria, l’occidente riconosce la libertà religiosa. Il punto è che la laicità occidentale arriva fino ad escludere tutto ciò che è religioso, mettendolo nel campo privato. La laicità della Turchia è una laicità islamica: chi non è nazionalista e islamico, è limitato in quanto attacca l’identità nazionale. Nella settimana scorsa 2 turchi, convertiti dall’Islam sono stati condannati in nome della legge sulla identità nazionale (art. 301 del codice penale). È la stessa accusa (e condanna) che si rivolge verso coloro che osano parlare e riconoscere il genocidio armeno. Questa laicità nazionalista è anch’essa irrazionale e va corretta per dare spazio alla libertà religiosa. Il papa ha insistito molto sulla libertà di coscienza. E ha fatto un appello al mondo islamico facendo l’elogio della laicità turca, che permette una distinzione fra stato e religione. Egli ha sottolineato questo aspetto, ricordando che le religioni devono stare fuori dalla politica, perché “a questo [alla politica diretta – ndr] non sono chiamate”.

Benedetto XVI tenta dunque di trovare una via media per tutta l’umanità per permettere il rapporto fra religione, spiritualità, ragione, laicità, stato. Trovandosi in un mondo musulmano, insiste sulla necessaria laicità, non nazionalistica e religiosa. Trovandosi in un mondo occidentale, insiste su una laicità “aperta” allo spirituale. Nei discorsi del Papa in Turchia esiste dunque una continuità con quanto detto a Regensburg, cercando una via di comunicazione fra politica e religione, contro il monopolio della religione sulla politica e contro il monopolio della politica che esclude la religione.