Bangkok blocca il rimpatrio forzato di 153 Hmong
I profughi dovevano fare ritorno in Laos, ma oltre 50 di loro hanno minacciato di suicidarsi piuttosto che partire; dopo che alcuni Paesi occidentali offrono di accogliergli, il premier thailandese cancella i rimpatri.
Bangkok (AsiaNews/Agenzie) – La Thailandia non procederà con il rimpatrio forzato in Laos degli oltre 150 rifugiati Hmong fissato per ieri, 30 gennaio. Pressioni internazionali e le minacce degli stessi profughi di togliersi la vita hanno indotto il governo thailandese a rivedere le sue posizioni.
 
Arrestati due mesi fa a Bangkok con l’accusa di essere entrati illegalmente in Thailandia, i 153 migranti sono stati poi trasferiti nel centro detenzione di Nong Khai, al confine con il Laos. Ieri, data prevista per il rimpatrio, 54 dei rifugiati si sono barricati nel carcere, minacciando di suicidarsi. Tornare in Laos per questa gente vuol dire andare incontro ad una persecuzione certa.
 
Dopo che Usa, Canada, Australia e Olanda hanno garantito a Bangkok di accogliere i profughi laotiani, il premier Surayud Chulanont ha deciso di bloccare i rimpatri. Soddisfazione a riguardo è stata espressa dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), a cui era stato negato accesso ai detenuti Hmong e che ora è impegnato nella sistemazione dei profughi in un Paese terzo.
 
Durante la guerra civile in Laos (1969-1975), migliaia di Hmong - minoranza etnica delle colline -  si sono schierati con il governo filostatunitense, che nel ‘75 è stato sconfitto dai comunisti del Pathet Lao. Dopo la pace, circa 300mila laotiani, soprattutto Hmong, sono emigrati; ma numerosi di loro sono fuggiti nelle foreste, per timore di ritorsioni o perché non hanno accettato la pace, e da allora si battono contro l’esercito di Vientiane. Amnesty International ha più volte accusato il governo laotiano di gravi violazioni dei diritti umani contro i Hmong. Ma Vientiane respinge le accuse. I profughi Hmong che vivono in Thialndia sono 9mila.