Papa: Cesare non è tutto, la verità ha il diritto di essere ascoltata anche dallo Stato
All’udienza generale Benedetto XVI, prendendo spunto dalla lettera di San Clemente ai corinzi sottolinea la struttura “sacramentale e non politica” della Chiesa. Il cristiano riconosce la legittimità delle istituzioni politiche, ma chiede che le autorità siano “docili a Dio”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Pregando per le autorità politiche, anche quando li  perseguitano, i cristiani seguono l’insegnamento dato da Gesù sulla croce e riconoscono la legittimità delle istituzioni politiche. Ma “Cesare non e' tutto, emerge un'altra sovranità” che nasce dalla verità che viene Dio e per questo “vanta anche nei confronti dello Stato il diritto di essere ascoltata”.  

Benedetto XVI, dopo aver dedicato le passate udienze generali alle figure dei singoli apostoli e dei testimoni, da oggi centrerà i suoi interventi del mercoledì ai “padri apostolici ossia alla prima e seconda generazione dopo gli apostoli”. Il primo di tali “padri” è stato San Clemente, terzo successore di Pietro, del quale sant’Ireneo attesta che “aveva visto gli apostoli, si era incontrato con loro”.

Proprio esaminando la lettera di Clemente ai corinzi, definita dal Papa “primo esercizio del primato romano dopo la  morte di San Pietro”, Benedetto XVI nel discorso all’udienza generale di oggi ha sottolineato che la Chiesa ha “struttura sacramentale e non politica”. La lettera, infatti, fu motivata dai “gravi problemi” sorti a Corinto, dove “i presbiteri erano stati deposti da alcuni giovani contestatori”. 

Nel documento, prima di tutto c’è il lieto annuncio della grazia che salva e si sottolinea il dono di Dio di essere cristiani. Un annuncio che “riempie di gioia” e “dà sicurezza alla nostra vita”. Ma occorre che ci impegniamo con coerenza al dono ricevuto e ci impegniamo in un cammino di conversione. Clemente afferma che se ci sono stati abusi, ciò è dovuto all’affievolimento della carità, richiama all’umiltà e all’amore fraterno, elementi costitutivi della Chiesa. Per la prima volta, inolte, compare la lettura cristiana del termine laikos, laico, membro del popolo di Dio, diverso dal sacerdote. Ma la distinzione non deve significare contrapposizione, perché uno stesso Spirito spira nelle diverse membra dell’unico corpo di Cristo.

La lettera, ha sottolineato Benedetto XVI, mostra che la Chiesa “non è confusione o anarchia nella quale ognuno può fare quello che vuole” e Clemente esplicita chiaramente la dottrina della successione apostolica: le norme che la regolano derivano in ultima analisi da Dio stesso. Il Padre ha mandato Gesù, lui gli apostoli ed essi a loro volta i loro successori. “Tutto procede ordinatamente dalla volontà di Dio”. Ciò spiega perché la Chiesa “ha struttura sacramentale e non politica” e la struttura sacramentale garantisce la precedenza del dono divino. La Chiesa “è dono di Dio e non creatura nostra” .

Scritta all’indomani della persecuzione di Diocleziano, quindi intorno al 96, la lettera, ha evidenziato il Papa, mostra anche che i cristiani non cessano di pregare per le autorità, anche quando li hanno ingiustamente perseguiti. Quel testo “guida, lungo i secoli, l'atteggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo Stato”: “all'indomani della persecuzione i cristiani non cessano di pregare per quelle stesse autorità che li avevano condannati ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine cristologico: bisogna pregare per i persecutori, come fece Gesù sulla croce”. “Pregando per le autorità, Clemente riconosce la legittimità delle istituzioni politiche nell'ordine stabilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la preoccupazione che le autorità siano docili a Dio ed esercitino il potere che Dio ha dato loro nella pace e nella mansuetudine, con pietà”. Ma, accanto a “Cesare”, “emerge un'altra sovranità, la cui origine ed essenza non sono di questo mondo, ma di lassù: è quella della verità, che vanta anche nei confronti dello Stato il diritto di essere ascoltata”.