Alessio II critica la Cina, Taiwan accetta di aprire una chiesa
Il patriarca ortodosso russo ha attaccato Pechino, che non consente agli ortodossi cinesi libertà di culto. Una delegazione di Taipei parla invece con il Dipartimento affari religiosi esteri del patriarcato della possibilità di aprire una chiesa sull’isola.
Mosca (AsiaNews) – Il patriarca ortodosso di Mosca, Alessio II, ha criticato per due volte la Cina negli ultimi giorni, colpevole della dura situazione in cui versa la chiesa ortodossa cinese, che non ha libertà di religione, né clero locale. Nello stesso periodo, una delegazione di Taiwan si è recata a Mosca per discutere “sviluppi e collaborazione” fra gli ortodossi e Taipei.  
 
Secondo l’agenzia russa Interfax, nel corso di un ricevimento offerto dal ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov il capo degli ortodossi russi ha ricordato che “la chiesa ortodossa cinese festeggia quest’anno il 50mo anniversario della sua indipendenza dal patriarcato russo, ma lo fa senza avere né preti, né sacerdoti”. Questo dato, ha aggiunto, “è sconcertante, date le molte migliaia di fedeli che attendono con ansia di poter avere qualcuno che si occupi della loro pastorale”.
 
E’ la seconda volta che, nel periodo pasquale, Alessio II parla della situazione degli ortodossi cinesi. La prima volta, nel corso di una conferenza stampa prima di Pasqua, aveva dichiarato: “La chiesa ortodossa [cinese] locale è stata virtualmente distrutta dalla Rivoluzione culturale”.
 
Un portavoce del Dipartimento per le relazioni con le chiese estere del Patriarcato ha spiegato che nel 2007 tre preti ortodossi sono stati inviati in Cina da Mosca per occuparsi del ministero locale e della liturgia pasquale. Grazie a loro, si sono svolti i riti della Settimana Santa non all’interno di una chiesa, ma delle missioni diplomatiche russe nel Paese.
 
Per la processione pasquale, oltre 300 fedeli si sono radunati nell’ambasciata russa di Pechino, mentre la liturgia al consolato generale di Shanghai è stata seguita da più di 120 persone. Fra questi non vi era alcun cinese, perché la legge proibisce loro la pratica dell’ortodossia, non riconosciuta come culto ufficiale.
 
Ironicamente, la “capitale finanziaria” della Cina vanta fra i suoi tesori architettonici una chiesa ortodossa, requisita ai tempi della Rivoluzione culturale e divenuta la Borsa.
 
Proprio la questione della libertà di culto nella Cina popolare è stata discussa nel corso dell’incontro che si è svolto lo scorso 4 aprile a Mosca fra il segretario del Dipartimento affari religiosi esteri del Patriarcato russo-ortodosso, l’arciprete Nikolai Balashov, ed il direttore dell’Ufficio di rappresentanza a Mosca di Taiwan, Angela Su.
 
I partecipanti hanno definito il dialogo “prolungato e costruttivo” ed hanno persino ventilato l’ipotesi di una possibile visita a Taipei di una delegazione della chiesa russo-ortodossa, che dovrebbe studiare l’apertura di un luogo di culto sull’isola, che per la Cina è una “provincia ribelle”.
 
Secondo diversi analisti, i commenti di Alessio II e l’incontro con i rappresentanti di Taiwan sono segnali alla Cina, che non considera l'ortodossia tra le religioni “riconosciute” in Cina (buddismo, taoismo, cattolicesimo, protestantesimo e islam). La speranza del Patriarcato di Mosca, che regola le attività della piccola comunità ortodossa cinese, è di riuscire ad ottenerlo entro il 2008.
 
La Chiesa ortodossa in Cina ha avuto piena autonomia dalla Chiesa ortodossa russa nel 1957. Dopo la Rivoluzione culturale del 1966-'67, la vita della comunità ha avuto però un brusco rallentamento. Al momento, secondo i dati forniti dal Dipartimento relazioni con le chiese estere del Patriarcato di Mosca, i fedeli ortodossi in Cina sono circa 13 mila, di cui 400 vivono nella capitale.
 
La Chiesa ortodossa russa è giunta in Cina da circa 300 anni, ma di essa si sa molto poco. Le prime comunità erano costituite da russi emigrati e risiedevano soprattutto nel nord del Paese. Anche attualmente la maggioranza dei fedeli è di discendenza russa. Essi sono situati in quattro punti del Paese: nell'Heilongjiang, ad Harbin, dove vi è anche una parrocchia dedicata al Manto protettivo della Madre di Dio; nella Mongolia Interna (a Labdarin); nel Xinjiang (a Kulj e Urumqi).
 
La Rivoluzione Culturale ha però azzerato la presenza di vescovi e preti. Ancora oggi i fedeli non hanno alcun sacerdote, e la domenica si radunano solo saltuariamente per pregare. Vi sono però 13 studenti cinesi ortodossi che studiano all'Accademia teologica Sretenskaya di Mosca e all'Accademia di S. Pietroburgo.
 
L'ultimo prete ortodosso cinese, Alexander Du Lifu, 80 anni, è morto nel 2003, a Pechino. Secondo informazioni del Patriarcato di Mosca, p. Du "dava direzione spirituale privatamente", non avendo alcuna chiesa. Talvolta gli era concesso di celebrare la Liturgia nell'ambasciata russa a Pechino. Per i suoi funerali, il patriarcato di Mosca ha ottenuto il permesso di utilizzare la cattedrale cattolica dell'Immacolata Concezione (la Nantang).