Papa: Giovani, come Francesco siate innamorati di Cristo e protagonisti della storia
Il discorso integrale di Benedetto XVI agli oltre 25 mila giovani a santa Maria degli Angeli.

Assisi (AsiaNews) – Una catechesi piena di affetto e di coraggio per la verità è quella che Benedetto XVI ha offerto oggi ai giovani al termine del suo pellegrinaggio nella città di Assisi per celebrare l’800mo anniversario della conversione di san Francesco.

Almeno 25 mila giovani erano radunati davanti al piazzale di santa Maria degli Angeli, la basilica che avvolge la Porziuncola. Prima che il pontefice prendesse la parola, un ragazzo e una ragazza hanno salutato il papa e gli hanno posto alcune domande. Per rispondervi, egli ha preso spunto dalla vita del santo. Il papa ha parlato, del “girovagare” senza meta, dei viaggi virtuali, della cura per l’immagine e dell’ambizione che segnano la condizione dei giovani di oggi. Il pontefice ha anche invitato i giovani a seguire san Francesco nel suo amore appassionato per Gesù Cristo e per la Chiesa, imparando da lui come “ripararla”. E ha domandato di imparare dal santo di Assisi a vivere l’apertura e il dialogo con le altre religioni senza cadere nell’indifferentismo. Parlando della stima che Francesco aveva per la vocazione sacerdotale, il papa ha anche chiesto ai giovani di essere pronti a “dire sì” a una possibile chiamata alla vita consacrata.

E ha concluso con un’esortazione: “È tempo di giovani che, come Francesco, facciano sul serio e sappiano entrare in un rapporto personale con Gesù. È tempo di guardare alla storia di questo terzo millennio da poco iniziato come a una storia che ha più che mai bisogno di essere lievitata dal Vangelo….. Siate, cari giovani, la mia gioia”.

Riportiamo di seguito il discorso integrale di Benedetto XVI ai giovani ad Assisi:

 

 

Carissimi giovani,

grazie per la vostra accoglienza! Grazie per le parole affettuose e per le interessanti domande che i vostri due rappresentanti mi hanno rivolto. Saluto tutti voi, giovani di questa Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, con il vostro Vescovo, Mons. Domenico Sorrentino. Saluto voi, giovani dell’Umbria, qui convenuti con i vostri Pastori. Saluto voi, giovani venuti da altre regioni d’Italia, accompagnati dai vostri animatori francescani. Un cordiale saluto rivolgo al Cardinale Attilio Nicora, mio Legato per le Basiliche papali di Assisi, e ai Ministri Generali dei vari Ordini francescani.

Ci accoglie qui, con Francesco, il cuore della Madre, la "Vergine fatta Chiesa", come egli ama invocarla (cfr Saluto alla Beata Vergine Maria, 1: FF 259). Francesco aveva per la chiesetta della Porziuncola, custodita in questa Basilica di Santa Maria degli Angeli, un affetto speciale. Essa fu tra le chiese che egli si diede a riparare nei primi anni della sua conversione e dove ascoltò e meditò il Vangelo della missione (cfr 1 Cel I,9,22: FF 356). Dopo i primi passi di Rivotorto, fu qui che egli pose il "quartier generale" dell’Ordine, dove i frati potessero raccogliersi quasi come nel grembo materno, per rigenerarsi e ripartire pieni di slancio apostolico. Qui ottenne per tutti una sorgente di misericordia nell’esperienza del "grande perdono". Qui infine visse il suo incontro con "sorella morte".

Cari giovani, voi sapete che il motivo che mi ha portato ad Assisi è stato il desiderio di rivivere il cammino interiore di Francesco, in occasione dell’VIII centenario della sua conversione. Questo momento del mio pellegrinaggio ha un significato particolare. L’ho pensato quasi come culmine della giornata. San Francesco parla a tutti, ma so che ha proprio per voi giovani un’attrazione speciale. Me lo conferma la vostra presenza così numerosa, come anche gli interrogativi che mi avete posto. La sua conversione avvenne quando era nel pieno della sua vitalità, delle sue esperienze, dei suoi sogni. Aveva trascorso venticinque anni senza venire a capo del senso della vita. Pochi mesi prima di morire, ricorderà quel periodo come il tempo in cui "era nei peccati" (cfr. 2 Test 1: FF 110).

Il “girovagare”, l’ambizione e la verità

A che cosa pensava, Francesco, parlando di peccati? Stando alle biografie, ciascuna delle quali ha un suo taglio, non è facile determinarlo. Un efficace ritratto del suo modo di vivere si trova nella Leggenda dei tre compagni, dove si legge: "Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai giochi e ai canti, girovagava per la città di Assisi giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso nello spendere da dissipare in pranzi e altre cose tutto quello che poteva avere o guadagnare" (3 Comp 1,2: FF 1396). Di quanti ragazzi anche ai nostri giorni non si potrebbe dire qualcosa di simile? Oggi poi c’è la possibilità di andare a divertirsi ben oltre la propria città. Le iniziative di svago durante i week-end raccolgono tanti giovani. Si può "girovagare" anche virtualmente "navigando" in internet, cercando informazioni o contatti di ogni tipo. Purtroppo non mancano – ed anzi sono tanti, troppi! – i giovani che cercano paesaggi mentali tanto fatui quanto distruttivi nei paradisi artificiali della droga. Come negare che sono molti i ragazzi, e non ragazzi, tentati di seguire da vicino la vita del giovane Francesco, prima della sua conversione? Sotto quel modo di vivere c’era il desiderio di felicità che abita ogni cuore umano. Ma poteva quella vita dare la gioia vera? Francesco certo non la trovò. Voi stessi, cari giovani, potete fare questa verifica a partire dalla vostra esperienza. La verità è che le cose finite possono dare barlumi di gioia, ma solo l’Infinito può riempire il cuore. Lo ha detto un altro grande convertito, Sant’Agostino: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (Confess. 1,1).

Sempre lo stesso testo biografico ci riferisce che Francesco era piuttosto vanitoso. Gli piaceva farsi confezionare abiti sontuosi e andava alla ricerca dell’originalità (cfr 3 Comp 1, 2: FF 1396). Nella vanità, nella ricerca dell’originalità, c’è qualcosa da cui tutti siamo in qualche modo toccati. Oggi si suol parlare di "cura dell’immagine", o di "ricerca dell’immagine". Per poter avere un minimo di successo, abbiamo bisogno di accreditarci agli occhi altrui con qualcosa di inedito, di originale. In certa misura, questo può esprimere un innocente desiderio di essere ben accolti. Ma spesso vi si insinua l’orgoglio, la ricerca smodata di noi stessi, l’egoismo e la voglia di sopraffazione. In realtà, centrare la vita su se stessi è una trappola mortale: noi possiamo essere noi stessi solo se ci apriamo nell’amore, amando Dio e i nostri fratelli.

Un aspetto che impressionava i contemporanei di Francesco era anche la sua ambizione, la sua sete di gloria e di avventura. Fu questo a portarlo sul campo di battaglia, facendolo finire prigioniero per un anno a Perugia. La stessa sete di gloria, una volta libero, lo avrebbe portato nelle Puglie, in una nuova spedizione militare, ma proprio in questa circostanza, a Spoleto, il Signore si fece presente al suo cuore, lo indusse a tornare sui suoi passi, e a mettersi seriamente in ascolto della sua Parola. È interessante annotare come il Signore abbia preso Francesco per il suo verso, quello della voglia di affermarsi, per additargli la strada di un’ambizione santa, proiettata sull’infinito: "Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?" (3 Comp 2,6: FF 1401), fu la domanda che egli sentì risuonare nel suo cuore. È come dire: perché accontentarti di stare alle dipendenze degli uomini, quando c’è un Dio pronto ad accoglierti nella sua casa, al suo servizio regale?

Cari giovani, mi avete ricordato alcuni problemi della condizione giovanile, della vostra difficoltà a costruirvi un futuro, e soprattutto della fatica a discernere la verità. Nel racconto della passione di Cristo troviamo la domanda di Pilato: "Che cos’è la verità?" (Gv 18,38). E’ una domanda che attraversa largamente la società e la cultura odierna. Il Vangelo addita Cristo come verità: verità di Dio e insieme verità dell’uomo. Come avvenne per Francesco, Cristo parla anche al nostro cuore. Noi rischiamo di passare una vita intera assordati da voci fragorose ma vuote, rischiamo di lasciarci sfuggire la sua voce, l’unica che conta, perché è l’unica che salva. Ci accontentiamo di frammenti di verità, o ci lasciamo sedurre da verità che sono tali solo in apparenza. C’è poi da meravigliarsi se ci ritroviamo intorno un mondo contraddittorio, che, pur tra tante cose belle, così spesso ci delude, con le sue espressioni di banalità, di ingiustizia, di violenza? Senza Dio, il mondo smarrisce il suo fondamento e la sua direzione di marcia. Non abbiate paura, carissimi, di imitare Francesco innanzitutto nella capacità di tornare a voi stessi. Egli seppe fare silenzio dentro di sé, ponendosi in ascolto della Parola di Dio. Passo dopo passo si lasciò guidare per mano verso l’incontro pieno con Gesù, fino a farne il tesoro e la luce della sua vita.

Gesù, la Chiesa, il sacerdozio

Fu un incontro con Gesù anche il suo recarsi tra i fratelli più sofferenti, mettendosi a loro servizio. Questa mattina, passando per Rivotorto, ho dato uno sguardo al luogo in cui, secondo la tradizione, erano raccolti i lebbrosi: gli ultimi, gli emarginati, nei confronti dei quali Francesco provava un irresistibile senso di ribrezzo. Toccato dalla grazia, egli aprì loro il suo cuore. E lo fece non solo attraverso un pietoso gesto di elemosina, ma baciandoli e servendoli. Egli stesso confessa che quanto prima gli risultava amaro, divenne per lui "dolcezza di anima e di corpo" (2 Test 3: FF 110).

La grazia veniva così plasmando Francesco. Egli diventò sempre più capace di fissare il suo sguardo sul volto di Cristo e di ascoltarne la voce. Fu a quel punto che il Crocifisso di San Damiano gli rivolse la parola chiamandolo a un’ardita missione: "Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina". (2 Cel I, 6, 10: FF 593). Sostando questa mattina a San Damiano, e poi nella Basilica di Santa Chiara, dove si conserva il Crocifisso originale che parlò a Francesco, ho fissato anch’io i miei occhi in quegli occhi di Cristo. È l’immagine del Crocifisso–Risorto, vita della Chiesa, che continua a parlare a noi, come duemila anni fa parlò ai suoi apostoli e ottocento anni fa parlò a Francesco. La Chiesa vive continuamente di questo incontro.

Sì, cari giovani: lasciamoci incontrare da Cristo! Fidiamoci di Lui, ascoltiamo la sua Parola. In Lui non c’è soltanto un essere umano affascinante. Certo, egli è pienamente uomo, e in tutto simile a noi, tranne che nel peccato (cfr Eb 4, 15). Ma è anche molto di più: è Dio fatto uomo. Pertanto è l’unico Salvatore, come dice il suo stesso nome: Gesù, ossia "Dio salva". Ad Assisi si viene per apprendere da San Francesco il segreto per riconoscere Gesù Cristo e fare esperienza di Lui. Ecco che cosa sentiva Francesco per Gesù, stando a ciò che narra il suo primo biografo: "Gesù portava sempre nel cuore. Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra… Anzi, trovandosi molte volte in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù" (1 Cel II, 9, 115: FF 115).

Francesco, insomma, era un vero innamorato di Gesù. Lo incontrava nella Parola di Dio, nei fratelli, nella natura, ma soprattutto nella sua presenza eucaristica. Scriveva a tal proposito nel Testamento: "Dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo" (2 Test 10: FF 113). Il Natale di Greccio esprime il bisogno di contemplarlo nella sua tenera umanità di bimbo (cfe 1 Cel I, 30, 85-86: FF 469-470). L’ esperienza della Verna, dove riceve le stimmate, mostra a quale grado di intimità egli fosse arrivato nel rapporto con Cristo crocifisso. Egli può dire con Paolo: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1,21). Se si spoglia di tutto e sceglie la povertà, il motivo di tutto questo è Cristo, e solo Cristo. Gesù è il suo tutto: e gli basta!

Proprio perché di Cristo, Francesco è anche uomo della Chiesa. Dal Crocifisso di San Damiano aveva avuto l’indicazione di riparare la casa di Cristo, che è appunto la Chiesa. Tra Cristo e la Chiesa c’è un rapporto intimo e indissolubile. Essere chiamato a ripararla implicava, certo, nella missione di Francesco, qualcosa di proprio e di originale. Al tempo stesso, quel compito null’altro era, in fondo, che la responsabilità attribuita da Cristo ad ogni battezzato. La Chiesa cresce e si ripara innanzitutto nella misura in cui ciascuno di noi si converte e si santifica. Si edifica poi attraverso le più diverse vocazioni, da quella laicale e familiare, alla vita di speciale consacrazione, alla vocazione sacerdotale.

Una parola, a questo punto, desidero spendere proprio su quest’ultima vocazione. Francesco, che fu diacono, non sacerdote (cfr1 Cel I,30,86: FF 470), nutriva per i sacerdoti una venerazione grande. Pur sapendo che anche nei ministri di Dio c’è tanta povertà e fragilità, li vedeva come ministri del Corpo di Cristo, e ciò bastava a far scaturire in lui un senso di amore, di riverenza e di obbedienza (cfr 2 Test 6-10: FF 112-113). Il suo amore per i sacerdoti è un invito a riscoprire la bellezza di questa vocazione. Essa è vitale per il popolo di Dio. Cari giovani, circondate di amore e gratitudine i vostri sacerdoti. Se il Signore dovesse chiamare qualcuno di voi a questo grande ministero, come anche a qualche forma di vita consacrata, non esitate a dire il vostro sì. È bello essere ministri del Signore, è bello spendere la vita per Lui!

Affetto veramente filiale il giovane Francesco sentì nei confronti del suo Vescovo, e fu nelle sue mani che, spogliandosi di tutto, fece la professione di una vita ormai totalmente consacrata al Signore (cfr 1 Cel I, 6, 15: FF 344). Sentì in modo speciale la missione del Vicario di Cristo, al quale sottopose la sua Regola e affidò il suo Ordine. Se i Papi hanno mostrato tanto affetto ad Assisi, lungo la storia, questo in certo senso è un ricambiare l’affetto che Francesco ha avuto per il Papa. Io sono felice, carissimi giovani, di essere qui, sulla scia dei miei Predecessori, e in particolare di Giovanni Paolo II.

La pace e la gioia

Come a cerchi concentrici, l’amore di Francesco per Gesù si dilata non solo sulla Chiesa ma su tutte le cose, viste in Cristo e per Cristo. Nasce di qui il Cantico delle Creature, in cui l’occhio riposa nello splendore del Creato: da fratello sole a sorella luna, da sorella acqua a frate fuoco. Il suo sguardo interiore è diventato così puro e penetrante da scorgere la bellezza del Creatore nella bellezza delle creature. Il Cantico di frate sole, prima di essere un’altissima pagina di poesia e un implicito invito al rispetto del creato, è una preghiera, una lode rivolta al Signore.

All’insegna della preghiera è da vedere anche l’impegno di Francesco per la pace. Questo aspetto della sua vita è di grande attualità, in un mondo che di pace ha tanto bisogno e non riesce a trovarne la via. Francesco fu un uomo di pace e un operatore di pace. Lo mostrò anche nella mitezza con cui si pose, senza tuttavia mai tacere la sua fede, di fronte ad uomini di altre fedi, come dimostra il suo incontro con il Sultano (cfr 1 Cel I, 20, 57: FF 422). Se oggi il dialogo interreligioso, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, è diventato patrimonio comune e irrinunciabile della sensibilità cristiana, Francesco può aiutarci a dialogare autenticamente, senza cadere in un atteggiamento di indifferenza nei confronti della verità o nell’attenuazione del nostro annuncio cristiano. Il suo essere uomo di pace, di tolleranza, di dialogo, nasce sempre dall’esperienza di Dio-Amore. Il suo saluto di pace è, non a caso, una preghiera: "Il Signore ti dia la pace" (2 Test 23: FF 121).

Cari giovani, la vostra numerosa presenza qui dice quanto la figura di Francesco parli al vostro cuore. Io volentieri vi riconsegno il suo messaggio, ma soprattutto la sua vita e la sua testimonianza. È tempo di giovani che, come Francesco, facciano sul serio e sappiano entrare in un rapporto personale con Gesù. È tempo di guardare alla storia di questo terzo millennio da poco iniziato come a una storia che ha più che mai bisogno di essere lievitata dal Vangelo.

Faccio ancora una volta mio l’invito che il mio amato Predecessore, Giovanni Paolo II, amava sempre rivolgere, specialmente ai giovani: "Aprite le porte a Cristo". Apritele come fece Francesco, senza paura, senza calcoli, senza misura. Siate, cari giovani, la mia gioia, come lo siete stati di Giovanni Paolo II. Da questa Basilica dedicata a Santa Maria degli Angeli vi do appuntamento alla Santa Casa di Loreto, ai primi di settembre, per l’Agorà dei giovani italiani.

A voi tutti la mia benedizione.