Papa: in Cina c’è una sola Chiesa, che sia unita e lasciata libera
Pubblicata la “Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese”. Il Papa affronta nella prospettiva dell’unità della Chiesa le questioni delle nomine dei vescovi, dei rapporti con il governo e delle vita della comunità dei fedeli. Condanna dell’Associazione patriottica. Il testo completo della Lettera.
Città del Vaticano (AsiaNews) – L’unità della Chiesa di Cina e la sua indipendenza dal potere politico, ossia il rispetto della libertà religiosa in modo che possa svolgere la sua missione evangelizzatrice. E’ la preoccupazione centrale della “Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese”, resa pubblica oggi. E’ alla luce di tale preoccupazione centrale che discendono la ricerca di “dialogo” con il governo, la negazione di qualsiasi ruolo e legittimità dell’Associazione patriottica, l’idea di una necessaria “normalità” della Chiesa cinese, con l’invito a vescovi e fedeli a superare le divisioni ed a manifestare pubblicamente la loro fede e l’abolizione delle norme straordinarie fin qui concesse alla Chiesa in Cina.
 
Annunciata da mesi e attesa anche dal governo cinese – che ne ha avuto copia una decina di giorni fa – la Lettera – 54 pagine nell’edizione italiana – ha anche due edizioni in cinese – tradizionale e semplificato – e sarà anche il testo che dovrebbe inaugurare la sezione cinese del sito internet della Santa Sede.
 
Parla di “Chiesa in Cina” e non di “Chiesa ufficiale” e “clandestina”
 
Preoccupato in primo luogo per l’unità della Chiesa, Benedetto XVI non usa le espressioni “Chiesa ufficiale” e “Chiesa clandestina”, ma parla solo di “Chiesa in Cina”, della quale, fin dalle prime righe loda la “fedeltà” e ricorda le “gravi sofferenze”. E anche se “è vero che negli ultimi anni la Chiesa gode, rispetto al passato, di una maggiore libertà religiosa (n, 12)”, “permangono gravi limitazioni” ed è usata anche la parola “persecuzione”.
 
Il documento è diviso in due parti: la prima è dedicata alla situazione della Chiesa, la seconda ai problemi pastorali. All’inizio ci sono rispettose parole di apprezzamento per quanto la Cina sta facendo. Vi si parla di “significative mete di progresso economico-sociale” e di “lungimirante progettazione di iniziative”. “Nutro – scrive poi il Papa – un vivo apprezzamento e sentimenti di amicizia, sino a formulare l'auspicio di vedere presto instaurate vie concrete di comunicazione e di collaborazione fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese (n. 4)”. “Sono consapevole – aggiunge - che la normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Popolare Cinese richiede tempo e presuppone la buona volontà delle due Parti. Dal canto suo, la Santa Sede rimane sempre aperta alle trattative, necessarie per superare il difficile momento presente (n. 4)”.
 
La Chiesa non vuole cambiare la struttura dello Stato
 
Rivolgendosi in tal modo al governo di Pechino, Benedetto XVI scrive di “pesante situazione di malintesi e di incomprensione” che non giova ad alcuna delle parti, ricorda l’affermazione del Concilio “nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra” e tranquillizza su una questione particolarmente sensibile per Pechino: “la Chiesa cattolica che è in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l'amministrazione dello Stato, bensì di annunziare agli uomini il Cristo”. E, più avanti, afferma che il Papa non è “un'autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità (n. 9)” e, affrontando il tema dei rapporti tra Chiesa e Stato, ricorda il “date a Cesare…”.
 
Se qui, ed ancora più avanti, si affronta uno dei due proclamati nodi del rapporto con Pechino - quello delle “interferenze” esterne negli affari cinesi – nessun cenno c’è all’altra questione che Pechino afferma cruciale, quella dei rapporti con Taiwan, che la Cina vuole siano interrotti. Una mancanza che una nota della Sala Stampa vaticana dedicata ad “Alcune sottolineature” colma, affermando che “com’è stato detto in altre circostanze, se si perviene ad un accordo col Governo, il trasferimento a Pechino della Nunziatura della Santa Sede in Cina può avvenire in qualsiasi momento”.
 
In definitiva, “le Autorità civili sono ben consapevoli che la Chiesa, nel suo insegnamento, invita i fedeli ad essere buoni cittadini, collaboratori rispettosi e attivi del bene comune nel loro Paese, ma è altresì chiaro che essa chiede allo Stato di garantire ai medesimi cittadini cattolici il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto di un'autentica libertà religiosa (n. 4)”.
 
E’ indispensabile la comunione dei vescovi con il Papa
 
E’ in tale sfera che Benedetto XVI colloca la questione delle nomine dei vescovi. Il Papa spiega che “l'unità dell'Episcopato, di cui il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento (n. 5)” è questione centrale ed ineliminabile della vita, del pensiero e dell’essenza della Chiesa cattolica. E’ “indispensabile, per l'unità della Chiesa nelle singole nazioni, che ogni Vescovo sia in comunione con gli altri Vescovi, e che tutti siano in comunione visibile e concreta con il Papa (n. 5)”.
 
Se la spiegazione è valida per autorità civili e religiose, essa assume un senso particolare in un Paese che vede vescovi riconosciuti dal governo ed altri no, incarcerati o liberi, con tutte le conseguenze che ciò ha sulle comunità dei fedeli, ingenerando a volte in profondi contrasti. E’ a loro che è dedicata la prima affermazione: “non si esprime un'autentica comunione senza un travagliato sforzo di riconciliazione”. Ricordando che “già il mio venerato Predecessore vi aveva rivolto, a più riprese, un pressante invito al perdono e alla riconciliazione”, “il mio desiderio più ardente – aggiunge - è che assecondiate gli interiori suggerimenti dello Spirito Santo perdonandovi gli uni gli altri tutto ciò che deve essere perdonato, avvicinandovi l'uno all'altro, accettandovi reciprocamente, superando le barriere per andare al di là di tutto ciò che può dividervi (n. 6)”.
 
L’appello all’unità non può naturalmente ignorare chi della rottura dell’unità è responsabile, ossia gli organi statali che “vigilano” sulle religioni o chi di essa fa la propria ragion d’essere, ossia l’Associazione patriottica. Dei primi la Lettera indica “il ruolo significativo svolto da organismi, che sono stati imposti come principali responsabili della vita della comunità cattolica. Ancora oggi, infatti, il riconoscimento da parte di detti organismi è il criterio per dichiarare una comunità, una persona o un luogo religioso, legali e quindi ‘ufficiali’. Tutto questo ha causato divisioni sia tra il clero sia tra i fedeli. È una situazione, che dipende soprattutto da fattori esterni alla Chiesa, ma che ne ha condizionato seriamente il cammino, dando adito anche a sospetti, accuse reciproche e denunce, e che continua ad essere una sua preoccupante debolezza (n. 7)”.
 
La condanna dell’Associazione patriottica
 
Della seconda la condanna è senza attenuanti. Nominata esplicitamente solo in una nota (la n. 36), dell’Associazione patriottica (AP) nel testo si dice che “non corrisponde alla dottrina cattolica” la sua “pretesa” di “porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale”. Sempre all’AP si riferisce parlando di “persone non « ordinate », e a volte anche non battezzate” che “controllano e prendono decisioni circa importanti questioni ecclesiali, inclusa la nomina dei Vescovi (n. 8)” e quando ammonisce che la comunione e l'unità “sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica: pertanto il progetto di una Chiesa ‘indipendente’, in ambito religioso, dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica (n. 8)”.
 
La differenza di valutazione si riflette sul rapporto che vescovi e fedeli possono avere con loro. Il Papa infatti sostiene che “non si vedono poi particolari difficoltà per l'accettazione del riconoscimento concesso dalle Autorità civili, a condizione che esso non comporti la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica”. In via di principio insomma, “nulla osta” all’adesione alla Chiesa ufficiale, lasciando però la decisione ad ogni vescovo, perché “in non pochi casi concreti, se non quasi sempre, nella procedura di riconoscimento intervengono organismi che obbligano le persone coinvolte ad assumere atteggiamenti, a porre gesti e a prendere impegni che sono contrari ai dettami della loro coscienza di cattolici. Comprendo, perciò, come in tali varie condizioni e circostanze sia difficile determinare la scelta corretta da fare (n. 7)”. Che potrebbe non essere condivisa da tutti i fedeli. Ma anche in questo caso, nella preoccupazione per l’unità della Chiesa, “mi auguro, tuttavia, che essa venga accolta, anche se con sofferenza, e che si mantenga l'unità della comunità diocesana col proprio Pastore (n. 7)”.
 
Le diverse situazioni dei vescovi
 
Nella stessa logica, la Lettera affronta le tre tipologie di vescovi cinesi, quelli clandestini, quelli riconciliati ed i pochi non riconciliati. Per i primi auspica che il governo dia il proprio riconoscimento ai coloro che “non volendo sottostare a un indebito controllo, esercitato sulla vita della Chiesa, e desiderosi di mantenere una piena fedeltà al Successore di Pietro e alla dottrina cattolica, si sono visti costretti a farsi consacrare clandestinamente (n. 7)”. Proprio la loro assenza dal “Consiglio dei vescovi” cinesi, - che invece comprende “presuli, che sono tuttora illegittimi, ed è retta da Statuti, che contengono elementi inconciliabili con la dottrina cattolica (n. 8)” - impedisce che questo sia considerato come una conferenza episcopale.
 
Dei secondi, che “sotto la spinta di circostanze particolari hanno acconsentito a ricevere l'ordinazione episcopale senza il mandato pontificio ma, in seguito, hanno chiesto di poter essere accolti nella comunione con il Successore di Pietro e con gli altri Fratelli nell'episcopato (n. 7)”, chiede che informino “pienamente” sacerdoti e fedeli del ristabilimento della piena comunione.
Perfino per quelli illegittimamente ordinati, “un numero molto ridotto”, nelle parole del Papa appare la ricerca dell’unità: egli ricorda infatti che essi sono illegittimi, ma validamente ordinati, per cui “pur non essendo in comunione con il Papa, esercitano validamente il loro ministero nell'amministrazione dei sacramenti, anche se in modo illegittimo”. Significativo quanto, in proposito, si legge nelle “Sottolineature”. Ricordate le “gravi sanzioni” (la scomunica, ndr) che colpisce chi ordina e si fa ordinare, aggiunge: “quando manca un vero spazio di libertà, per dichiarare che una persona è incorsa in una sanzione prevista dal Codice, si deve esaminare caso per caso, considerare tutte le circostanze e valutare la reale responsabilità soggettiva”.
 
Ancora nella prospettiva dell’unità ella Chiesa, a tutti i vescovi dice che “è lecito concelebrare con Vescovi e con sacerdoti che sono in comunione con il Papa, anche se sono riconosciuti dalle Autorità civili e mantengono un rapporto con organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, purché il riconoscimento e il rapporto non comportino la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica (n. 10)” e che i fedeli, pur dovendo in via di principio, rivolgersi ai vescovi in comunione col Papa, “tuttavia, quando ciò non fosse realizzabile senza loro grave incomodo, possono, per esigenza del loro bene spirituale, rivolgersi anche a coloro che non sono in comunione con il Papa (n 10)”.
 
Le nomine si possono concordare con lo Stato
 
Chiarito le diverse situazioni dei vescovi, Benedetto XVI offre allo Stato la possibilità di cercare un metodo per trovare una linea concordata anche in materia di nomine di vescovi. “La Santa Sede – scrive - amerebbe essere completamente libera nella nomina dei Vescovi; pertanto, considerando il recente cammino peculiare della Chiesa in Cina, auspico che si trovi un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all'episcopato sia la pubblicazione della nomina dei Vescovi sia il riconoscimento — agli effetti civili in quanto necessari — del nuovo Vescovo da parte delle Autorità civili (n. 9)”.
Tutto per la “vocazione missionaria” della Chiesa. Perché “ora spetta a voi, discepoli cinesi del Signore, essere coraggiosi apostoli di quel Regno. Sono sicuro che grande e generosa sarà la vostra risposta”. (FP)

 

Per il testo completo della Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese clicca qui.