Testimoni del massacro: i racconti di chi era dentro la chiesa a Baghdad
Le “Piccole sorelle di Gesù” di Baghdad hanno raccolto le testimonianze dei sopravvissuti al massacro compiuto il 31 ottobre nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, e le hanno riportate in una lettera che pubblichiamo nella sua integralità.

Baghad (AsiaNews) - Il 31 ottobre un commando di Al Qaeda ha fatto irruzione nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad. I terroristi, che si sono fatti esplodere nella chiesa, hanno provocato una strage: 52 morti e decine di feriti. Di seguito pubblichiamo la lettera di alcune religiose, testimoni dell'eccidio.

 
Cari fratelli e sorelle ovunque,

Vogliamo cominciare questa lettera ringraziandovi tutti per tutti i messaggi di comunione e di solidarietà che abbiamo ricevuto. Ci sono molte catastrofi naturali in questo momento nel mondo che fanno molte più vittime che da noi, ma la causa non è l’odio, e questo fa tutta la differenza. La nostra chiesa è abituata ai colpi duri, ma è la prima volta che ne riceve di così violenti e selvaggi e soprattutto è la prima volta che questo accade all’interno della chiesa, di norma fanno esplodere delle bombe nei cortili delle chiese. La chiesa di Nostra Signora dell Perpetuo Soccorso è una delle tre chiese siro-cattoliche di Baghdad; la maggior parte di quelli che la frequentano sono dei cristiani di rito siriaco originari di Mossul o di tre villaggi cristiano-siriaci vicini a Mossul: Qaragosh, di cui sono originari le nostre sorelle Virgin Hanan e Rajah Nour;  Bartolla e Bashiqa di cui è originaria Mariam Farah. Grazie a Dio nessuna di loro ha avuto parenti prossimi uccisi o feriti gravemente.

La chiesa è stata presa d’assalto domenica 31 ottobre dopo mezzogiorno, proprio dopo l’omelia di padre Tha’er ch celebrava la messa. Padre Wasim, che è il figlio di una cugina di sorella Lamia, confessava al fondo della chiesa; padre Raphael era nel coro. Gli attaccanti erano persone molto giovani (14-15 anni) non mascherati, armati di mitra e di granate e portavano una cintura esplosiva. Hanno aperto subito il fuoco, uccidendo padre Wasim che cercava di chiudere la porta della chiesa, poi hanno sparato alla cieca, dopo aver ordinato alle persone di gettarsi a terra, di non muoversi e di non gridare. Qualcuno è riuscito a mandare messaggi con il cellulare, ma dopo gli attaccanti sparavano su chiunque vedevano usare il telefonino. Il padre Tha’er che continuava a celebrare è stato ucciso all’altare nei suoi paramenti liturgici, suo fratello e sua madre sono stati uccisi anch’essi. Dopo è stato il massacro, non possiamo raccontare tutto ciò che le persone ci hanno detto, anche i bambini che piangevano sono stati uccisi. Alcune persone si erano rifugiate nella sacrestia e hanno barricato la porta, ma gli attaccanti sono saliti sulla terrazza della chiesa e hanno gettato delle bombe a mano attraverso le finestre della sacrestia che sono in alto.

Tutto ciò fa pensare che si trattasse di un attacco ben preparato, e che hanno avuto dell’aiuto dall’esterno; come hanno potuto forzare lo sbarramento della polizia (nella strada che va alla chiesa) e conoscere la via per arrivare alla terrazza, ecc.? Hanno mitragliato anche gli apparecchi dell’aria condizionate in modo che il gas, uscendo, asfissiasse quelli che erano vicini. Hanno mitragliato la croce, ridendo e dicendo alle persone: “Ditegli di salvarvi”. Poi hanno lanciato l’appello alla preghiera: “Allau akbar, la ilah illa allahu…”, e alla fine, quando l’esercito era sul punto di entrare si sono fatti esplodere. L’esercito e gli aiuti ci hanno messo circa due ore ad arrivare, così come gli americani che sorvolavano in elicottero, ma l’esercito non è addestrato a gestire queste situazioni, e non sapevano bene che cosa fare. Perché ci hanno messo tanto tempo ad arrivare? Tutto è finito verso le 10h30 – 11h di sera, è durato molto e pensiamo che molte persone siano morte in seguito alla perdita di sangue e alle ferite. Dopo i feriti sono stati condotti nei diversi ospedali e i morti in obitorio.

Le persone hanno cominciato ad arrivare per sapere che cosa era successo e avere notizie dei parenti, ma l’accesso alla chiesa era proibito e le persone hanno cominciato a peregrinare di ospedale in ospedale alla ricerca dei loro cari. Abbiamo visto persone che hanno cercato qualcuno fino alle 4h del mattino per scoprirlo infine all’obitorio. All’indomani ci sono state le esequie nella chiesa caldea vicina, la chiesa era piena, era impressionante, c’erano quindici bare allineate nel coro, le altre vittime sono state sepolte nei loro villaggi o separatamente, secondo i casi. C’erano rappresentanti di tutte le comunità cristiane come del governo, il nostro patriarca ha parlato così come il portavoce del governo e un religioso, capo di un partito islamico, Moammar el Hakim. La preghiera ha avuto luogo con grande dignità e senza manifestazioni rumorose. Padre Saad, responsabile di questa chiesa ha aiutato le persone a pregare man mano che arrivavano, prima che cominciasse la cerimonia. I due giovani sacerdoti sono stati sepolti nella loro chiesa devastata. C’è un cimitero sotto la chiesa, e prima di seppellirli hanno fatto passare le bare nella chiesa in modo che potessimo dire loro addio.

All’inizio non sapevamo niente delle vittime, non conoscevamo nessuno direttamente, salvo padre Raphael, un sacerdote molto anziano; siamo andate all’ospedale per visitarlo e visitare i feriti che erano là. Erano le famiglie che ci accompagnavano di stanza in stanza, così come la gente dell’ospedale ci indicava i feriti. Per caso erano tutte donne o ragazze, ferite da proiettili, non era come un’esplosione in cui può accadere di perdere un braccio o una gamba. Siamo rimaste al loro fianco senza parlare molto, erano loro che parlavano o le loro famiglie, ciascuno riviveva la sua storia e la raccontava. Dal momento che l’attacco ha avuto luogo di domenica alla messa, membri di una stessa famiglia sono stati feriti o uccisi, alcuni proteggendo i loro bambini. Siamo stati colpiti dalla loro calma e dalla loro fede quando raccontavano, sentivamo che erano persone venute da un altro mondo e che in quel momento là nulla contava più se non l’incontro vicino con il Signore non pensavano più a nulla e pregavano solo, e questo è durato cinque ore.

Il venerdì dopo pranzo i giovani di molte parrocchie sono venuti ad aiutare a spazzare i detriti e a pulire un po’, e la domenica seguente, 7 novembre, tutti i preti siriaci e caldei di Baghdad che erano liberi hanno celebrato la messa nella chiesa vuota e devastata su un altare di fortuna; c’erano poche persone perché questa messa non era stata annunciata. Non ci siamo andate perché non l’abbiamo saputo. Era molto commovente. C’è stato un soprassalto di fede e di determinazione soprattutto nei preti che restano a Baghdad che dicono: vogliono cacciarci e sterminarci ma noi siamo qui e ci resteremo, dopo 14 secoli non potrete finirla con noi. La storia dei cristiani d’Iraq è una lunga storia di persecuzione, di martiri, di cristiani cacciati e mandati via. Pensiamo alla frase del salmo 69: “Più numerosi dei capello della testa coloro che mi odiano senza causa” e noi pensiamo soprattutto a Gesù, odiato senza ragione, mentre passava e faceva del bene. Terminiamo questa lettera con il grido di un bambino di tre anni che ha visto uccidere suo padre e che gridava “basta, basta” prima di essere ucciso anche lui. Sì, veramente con il nostro popolo gridiamo anche noi: basta.

Le vostre piccole sorelle di Baghdad, Alice e Martina.