10/28/2016, 13.17
台湾
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我,原住民天主教徒抵制我们部落的衰落

作者 Sun Da Chuan

六十二岁的孙大川为台湾卑南族原住民政治家。十六世纪,殖民主义者将台湾岛上的部落文化视为眼中钉,后来的日本人、中国人也同样。试图教会青年、巩固信仰促成重生

台北(亚洲新闻)—台湾监察院副院长,六十二岁的孙大川是台湾卑南族原住民政治家。二OO九年至二O一三年任原住民族委员会主任。 毕业于台北国立大学中文系、天主教辅仁大学哲学系、比利时鲁汶大学汉学硕士。他向本社讲述了身为公民和天主教徒的经历。常常受到排斥的原住民成为台湾工业发展的劳动力,还有城市发展等。孙大川的担心是原住民的生活消失、被主宰性文化吞噬。台湾的原住民占人口的百分之二。

Fin da piccolo seguivo le tradizioni della mia tribù, le usanze millenarie che hanno segnato la vita di tantissimi antenati e che ci uniscono come aborigeni alle nostre origini. Negli ultimi anni il governo ci ha riconosciuto moltissimi diritti che prima ci erano negati. È una cosa paradossale se ci pensiamo, perché noi siamo coloro che hanno abitato queste terre da secoli.

I nostri anziani dicono che niente e nessuno riuscirà a distruggere la nostra profonda educazione indigena. Tutti i bambini ne crescono segnati. Poi quando si diventa grandi ci si chiede che cosa si può fare, come si può contribuire alla società.

In ogni caso, non ci si può riposare sugli allori, perché a mio modo di vedere ora siamo in una fase di tramonto della nostra etnia, anche se c’è ancora una grande speranza e moltissimi talenti presenti nelle nuove generazioni.

Quando eravamo piccoli avevamo paura che il nostro linguaggio e la nostra cultura si perdessero, che tutte le nostre feste tribali e le nostre tradizioni iniziatiche e culturali si sarebbero spente. Sarebbe stato come perdere la nostra identità di aborigeni. Questa minaccia alle vecchie tradizioni è cominciata circa 400 anni fa con l’arrivo dei conquistatori stranieri dal continente o dall’Europa. Poi i 50 anni di governo giapponese ci hanno visti segregati sulle montagne e senza protezioni da parte del governo come possiamo goderne oggi.

Quando ero piccolo avevo davvero questo senso di precarietà, di paura della scomparsa delle nostre tradizioni. Forse era un mio sentimento personale. Ma chiedendo ai miei coetanei, anch'essi avvertivano la stessa sensazione all’interno della nostra comunità.

La nostra generazione è cresciuta studiando giapponese: era la nostra prima lingua. Io sono cresciuto parlando giapponese con gli adulti delle nostre tribù insieme alla nostra lingua aborigena. Poi ho cominciato a studiare cinese da zero. Questa è stata un'esperienza non facile, il dover imparare da zero una lingua per poter comunicare con chi non apparteneva alla tribù.

Il sentimento di tramonto della nostra cultura è purtroppo un punto importante. Non è una esagerazione che sto presentando io, è un fatto che sentiamo profondamente. La cultura dominante è qualcosa che rischia di inghiottire tutto. Anche perché i giovani possono dire, “diventiamo come gli altri e dimentichiamo le nostre radici”.

Ci sono persone che, forse scherzando oppure no, mi accusano di essere il 'Nietzsche taiwanese', di essere troppo pessimista rispetto al futuro della cultura aborigena. I miei amici mi dicono: "Nietzsche diceva che Dio e' morto, tu dici che la nostra cultura è ormai morta". Ma io credo che sto presentando aspetti veritieri. Comunque la storia prosegue, e in molti casi non possiamo far altro che prendere atto della situazione e adattarci. Però non possiamo semplicemente piegarci al semplice volere del governo di turno: non si può cancellare una cultura: prima di tutto perché essa costituisce un diritto umano e in secondo luogo perché costituisce una ricchezza per l'intera società.

Rispetto alla mia appartenenza alla comunità cristiana vorrei sottolineare due aspetti importanti: da un lato noi alle leve di comando nella società civile o nella gerarchia ecclesiastica dobbiamo considerare i diritti di ciascuno, perché se si rispettano i diritti delle persone la qualità di vita di ciascuno migliora e insieme si riescono a superare molte sfide.  Dall'altro lato bisogna andare incontro ai bisogni degli altri in uno spirito evangelico, soprattutto se per il momento la società non riesce a farsene carico. Parlo soprattutto di coloro che possono sentirsi emarginati perché appartenenti a minoranze o perché in situazioni di disagio. Ecco perché a partire dal 1993 abbiamo aperto una nuova rivista di cultura (Mountain and Sea, 山海) per i divulgare i costumi aborigeni in uno spirito di apertura e di ascolto. Avevamo bisogno di nuovo respiro, di far conoscere la nostra cultura. Le nuove generazioni devono rispettare e ricordare la nostra cultura, altrimenti molti elementi verranno persi.

Poi il governo ci ha permesso di aprire il canale televisivo: la televisione aborigena è anch'essa importantissima. Senza un canale tv e una rivista stampata per la divulgazione delle nostre tradizioni nessuno ascoltava la nostra voce. Abbiamo fatto moltissimi programmi e accordi di messa in onda con canali aborigeni di altri paesi. Questo ci ha rafforzato molto e fatto conoscere altre esperienze importanti.

Una persona che ci ha aiutato molto è stato il nostro vescovo aborigeno, mons. Tseng (曾建次輔理主教), che quest'anno va in pensione. Lui è un grande amico della nostra famiglia, è molto semplice e accessibile, incarna profondamente la nostra cultura.

I missionari hanno formato tutte le nostre generazioni, aprendoci gli orizzonti. E' grazie allo sforzo di mons. Tseng e di tanti missionari se un terzo degli aborigeni taiwanesi è di fede cattolica.

Loro hanno saputo penetrare il nostro linguaggio tribale con le storie della bibbia. Noi abbiamo pregato a lungo perché anche tra i vescovi ci fosse uno dei nostri, e con mons. Tseng questo desiderio si è avverato.

Questo ha portato ai piani alti della conferenza episcopale le nostre istanze e le nostre aspettative, e soprattutto ha fatto presente la ricchezza del nostro contributo alla comunità cristiana e alla società intera. Inoltre grazie al dizionario da lui compilato e alla sua traduzione del nuovo testamento abbiamo potuto sentire ancora più nostro il messaggio di Gesù e della chiesa.

Insieme abbiamo dato inizio a molte attività per l'intera comunità cattolica aborigena, soprattutto all'incontro biennale per tutti gli operatori pastorali a partire dall'anno 1999. Questo ha indubbiamente mantenuto vivo il senso di unità dei credenti e ha riscontrato un grande sostegno da parte della conferenza episcopale.

Per quanto riguarda la società civile, le relazioni col governo sono migliorate moltissimo. Io, in quanto vicepresidente della Corte dei conti taiwanese (監察院副院長), e molti altri aborigeni della mia generazione, abbiamo raggiunto posti importanti all'interno dell'amministrazione centrale, questo sarebbe stato impensabile 60 anni fa.

Per quanto riguarda la Chiesa, siamo molto attivi, ma forse non così attivi come in passato. Vogliamo impegnarci a riprendere energia come ai bei tempi. Tutte le premesse ci sono: solo nella mia diocesi di Taidung-Hualien i soli sacerdoti aborigeni diocesani sono circa 40, parlano la nostra lingua, riescono a comunicare molto bene con i nostri ragazzi, e capiscono le esigenze delle nostre famiglie e dei nostri anziani. Specialmente nelle nostre comunità in montagna hanno bisogno di sentire che la nostra energia è presente anche nelle città e nei centri nevralgici della comunità cristiana. Io come rappresentante del governo e della comunità aborigena cerco di offrire il migliore esempio possibile per poi passare il testimone ai nostri giovani. Sono convinto che anch'essi daranno il meglio di se stessi all'interno della chiesa e della società civile soprattutto in difesa di chi non ha voce, sull'esempio di ciò che è scritto nel vangelo.

 

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