24/06/2021, 12.50
VATICANO – MEDIO ORIENTE
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​Papa: in Medio Oriente prima delle case sono da ricostruire le ‘pietre vive’

Nell’udienza alla Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali, Francesco parla della difficile situazione di una regione vittima di guerra e violenza. “Chiedo di pregare e invitare a farlo per l’incontro che avremo il 1mo luglio, insieme ai capi delle Chiese cristiane del Paese, perché lo Spirito Santo ci guidi e ci illumini”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Siria, ma anche Israele, Palestina, Libano, Eritrea: Paesi colpiti dalla violenza nei quali è necessario ricostruire case e cattedrali, ma più ancora “le pietre vive che sono ferite e disperse”, le persone. L’udienza di oggi ai partecipanti all’annuale assemblea della ‘Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali’ (R.O.A.C.O.) ha dato occasione a papa Francesco per esprimere la sua preoccupazione per una regione alla quale è particolarmente attento e per rinnovare l’appello alla solidarietà con le Chiese che operano nei luoghi legati alla vicenda terrena di Gesù.

Nel suo discorso Francesco ha innanzi tutto ricordato di aver potuto compiere quel viaggio in Iraq del quale parlò la prima volta proprio nell’incontro con la ROACO del 2019.

“Nonostante la pandemia, avete avuto riunioni straordinarie nel corso di quest’anno, sia per affrontare la situazione dell’Eritrea, sia per seguire quella del Libano, dopo la terribile esplosione nel porto di Beirut il 4 agosto scorso. E a questo proposito ringrazio per l’impegno a sostenere il Libano in questa grave crisi; e vi chiedo di pregare e invitare a farlo per l’incontro che avremo il 1mo luglio, insieme ai capi delle Chiese cristiane del Paese, perché lo Spirito Santo ci guidi e ci illumini”.

Nel discorso del Papa anche la preoccupazione per la Terra Santa, con Israele e Palestina, “popoli per i quali sogniamo sempre che nel cielo si distenda l’arco della pace, dato da Dio a Noè come segno dell’alleanza tra Cielo e terra e della pace tra gli uomini (cfr Gen 9,12-17). Troppo spesso invece, anche di recente, quei cieli sono solcati da ordigni che portano distruzione, morte e paura!”. “Il grido che si leva dalla Siria è sempre presente al cuore di Dio, ma sembra non riesca a toccare quello degli uomini che hanno in mano le sorti dei popoli. Rimane lo scandalo di dieci anni di conflitto, milioni di sfollati interni ed esterni, le vittime, l’esigenza di una ricostruzione che resta ancora in ostaggio di logiche di parte e della mancanza di decisioni coraggiose per il bene di quella martoriata Nazione”.

Nel panorama delle zone colpite dalla violenza, Francesco ha detto di seguire “con apprensione la situazione che si è generata con il conflitto nella regione del Tigray, in Etiopia, sapendo che la sua portata abbraccia anche la vicina Eritrea. Al di là delle differenze religiose e confessionali, ci rendiamo conto di quanto sia essenziale il messaggio della Fratelli tutti, quando le differenze tra etnie e le conseguenti lotte per il potere sono erette a sistema”.

“Attraverso di voi – ha detto ancora - desidero far giungere il mio ringraziamento a tutte le persone che sostengono i vostri progetti e che li rendono possibili: spesso sono semplici fedeli, famiglie, parrocchie, volontari…, che sanno di essere ‘tutti fratelli’ e destinano un po’ del loro tempo e delle loro risorse per quelle realtà di cui voi vi prendete cura. Mi hanno riferito che nel 2020 la Colletta per la Terra Santa ha potuto raccogliere circa la metà rispetto agli anni passati. Certamente hanno pesato i lunghi mesi in cui la gente non ha potuto radunarsi nelle chiese per le celebrazioni, ma anche la crisi economica generata dalla pandemia. Se da un lato questo ci fa bene, perché ci spinge a una maggiore essenzialità, tuttavia non può lasciarci indifferenti, anche pensando alle strade deserte di Gerusalemme, senza pellegrini che vanno a rigenerarsi nella fede, ma anche ad esprimere solidarietà concreta con le Chiese e le popolazioni locali. Rinnovo pertanto l’appello a tutti perché si riscopra l’importanza di questa carità, di cui parlava già San Paolo nelle sue Lettere e che San Paolo VI ha voluto riorganizzare con la Lettera Apostolica Nobis in animo, del 1974, che ripropongo nella sua piena attualità e validità”.

Un ultimo pensiero per il Caucaso. “Al termine del mio viaggio apostolico in Armenia, nel 2016, insieme al Catholicos Karekin II abbiamo liberato in cielo delle colombe, come segno e auspicio della pace nell’intera regione del Caucaso. Purtroppo, essa negli ultimi mesi è stata un’altra volta ferita, e per questo vi ringrazio per l’attenzione che avete posto alla realtà della Georgia e dell’Armenia, affinché la comunità cattolica continui ad essere segno e fermento di vita evangelica”.

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