20/12/2011, 00.00
CINA
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“Vade retro satana”: Nessuna religione per i membri del Partito cinese

di Bernardo Cervellera
Zhu Weiqun, vicepresidente del Fronte Unito si scaglia contro le conversioni religiose all’interno del Partito comunista cinese. Almeno un terzo dei quadri crede in qualche “superstizione religiosa” perché deluso dalla corruzione e dalla mancanza di ideali dell’ideologia comunista. La riedizione di toni maoisti è segno di una lotta di potere all’interno della leadership nell’imminenza del cambio al vertice di Hu Jintao e Wen Jiabao.

Roma (AsiaNews) – Non c’è spazio per la religione fra i membri del Partito comunista cinese. L’appello minaccioso viene da Zhu Weiqun, vicepresidente del Fronte unito, che nella rivista “Cercare la verità”, legata al Partito, ha scritto che “se lasciamo che i membri del partito credano nella religione… questo porterà in modo inevitabile a divisioni all’interno dell’ideologia e dell’organizzazione del Partito”.

Zhu Weiqun (v. foto), che ha fatto carriera impegnandosi sul dossier Tibet e boicottando tutti i dialoghi con il Dalai Lama, pare essere il rappresentante della rinascita del maoismo. In effetti solo al tempo di Mao e della Rivoluzione culturale si potevano leggere frasi come queste di Zhu: “Tutte le religioni, senza alcuna eccezione, fanno parte dell’idealismo. E in filosofia, c’è un conflitto fondamentale fra materialismo e idealismo, che non possono coesistere né a livello dell’individuo, né a livello di partito politico”.

Secondo Zhu Weiqun, permettere ai membri del partito di avere una fede religiosa, mette in crisi il marxismo e l’ideologia guida del Paese, rende debole il partito nel lottare contro i movimenti separatisti (leggi: buddisti tibetani e musulmani uiguri), e rende confuso il ruolo del partito nel controllo sulle religioni.

L’esorcismo alla rovescia di Zhu nasce da una preoccupazione reale: ormai molti membri del partito, delusi dal calo di ideali, dalla corruzione, e proprio dal materialismo, stanno scoprendo o riscoprendo la dimensione religiosa. Non è raro che nei weekend membri del partito vadano in visita al loro maestro buddista in qualche monastero, o intrattengano rapporti con un vescovo cattolico, o si mettono a pregare in qualche comunità protestante.

Alcuni anni fa, un’inchiesta ha mostrato che almeno un terzo dei membri del partito credevano in qualche “superstizione religiosa” (v. 28/02/2006 Partito comunista in crisi: 20 milioni di quadri vanno in chiesa o al tempio).

A quel tempo, AsiaNews è riuscita a pubblicare un resoconto di una discussione interna al partito sul valore delle religioni. Alcuni interventi sottolineavano l’importanza della fede per risollevare le sorti morali del partito stesso (v. 07/03/2006 Ma sulla religione gli iscritti contestano il Partito comunista cinese).

L’aspetto un po’ “diabolico” delle note di Zhu Weiqun sta nel fatto che se la prenda con le religioni, invece di prendersela con il partito stesso, divenuto ormai una oligarchia e un’assicurazione per la vita, dove è facile trovare lavoro, ricchezza, protezione legale, a forza di corruzione e di amicizie ambigue.

Per uno come lui che scrive su “Cercare la verità”, sarebbe importante che cercasse la verità proprio sulla crisi ideologica interna al comunismo cinese, che esiste ormai solo di nome e che ha creato un vero “inferno dei lavoratori”, come è dimostrato dai 180 mila “incidenti di massa” (rivolte sociali), a causa delle ingiustizie verso la popolazione che voleva liberare.

In realtà è molto probabile che proprio Zhu, con il suo intervento mini all’unità del partito. Nel dicembre 2001 l’allora presidente Jiang Zemin ha confessato che “le religioni esisteranno nel socialismo [ancora] per lungo tempo”. Nello stesso periodo, Pan Yue, vice-direttore dell’Ufficio Statale per le Riforme Strutturali, ha chiesto con energia che il partito abbandoni la visione marxista della religione come “oppio dei popoli”. Da allora il partito, pur controllando le religioni, ha dovuto assistere alla loro crescita esponenziale.

I toni maoisti di Zhu mostrano oggi che vi è una lotta all’interno del partito, non basata sul posto che devono avere le religioni, ma su chi deve comandare in futuro, date le imminenti dimissioni di Hu Jintao e di Wen Jiabao. La religione e la lotta contro le religioni è solo uno spunto, un cavillo, per gridare di più ed acquisire più ascolto. Ma allora, dobbiamo concluderne che non è la religione che rovina il partito, ma è il partito stesso che si è auto rovinato.

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