06/05/2014, 00.00
RUSSIA-UCRAINA
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Odessa non è la Crimea: questa guerra riguarda l'Europa

di Vladimir Rozanskij
Continuano gli scontri fra esercito ucraino e forze filo-russe nell'est del Paese. Mosca grida alla "catastrofe umanitaria" e ai rischi per la pace in Europa; Kiev accusa i "terroristi" di voler rovesciare il governo. Nessuno comprende che il popolo ucraino sta cercando se stesso, mentre la comunità internazionale rimane impacciata e lontana.

Mosca (AsiaNews) - Nell'est dell'Ucraina si continua a combattere.  Ieri, in uno scontro a fuoco fra filorussi e forze militari ucraine alla periferia di Slovyansk quattro persone sono morte e 30 sono rimaste ferite. Un elicottero dell'esercito è stato abbattuto, ma i piloti sono sopravvissuti.

Due giorni fa le forze di governo hanno ucciso 20 ribelli e altre decine sono rimasti feriti sempre nella città di Slovyansk. Il 2 maggio, a Odessa, sono state uccise 42 persone e 125 sono rimaste ferite dopo che simpatizzanti filo-russi si sono rifugiati in un edificio che in seguito ha preso fuoco. Più di 30 edifici governativi (amministrazione, polizia, servizi di sicurezza, ecc...) sono nelle mani dei ribelli filorussi nelle regioni di Donetsk e Luhansk.

Mentre Kiev accusa i "terroristi" di voler far cadere il governo legittimo, Mosca denuncia le "forze ultranazionaliste, estremiste e neonaziste" che si rendono colpevoli di "massicce" violazioni dei diritti umani, creando una "catastrofe umanitaria" che minaccia la stabilità e la pace in Europa.  Intanto la comunità internazionale sembra impacciata e povera di fantasia davanti a questi bagliori di guerra, incapace forse di comprendere la posta in gioco: la ricerca di un modello di vita per un popolo che non si sente compreso né dalla Russia, né dall'Europa.

 

L'esplosione di conflitti sempre più frequenti e preoccupanti nelle regioni orientali dell'Ucraina pongono interrogativi diversi e nuovi riguardo alla crisi di questi mesi, anche se sono evidentemente uno sviluppo della prima fase, che aveva portato alla secessione della Crimea e alla sua annessione alla Federazione Russa.

La protesta iniziata al Maidan di Kiev riguardava il modello di sviluppo del Paese nei prossimi decenni, condizionato dalle scelte politiche di relazione con la Russia e la Comunità europea. Le manifestazioni di piazza sfociarono in una vera sollevazione popolare, in seguito all'incauta ed eccessiva reazione del presidente Janukovich. La violenta repressione del Maidan ha creato, o più esattamente evidenziato, una coscienza di aggregazione politica, ideologica e anche spirituale che non si era mai espressa in questi termini, neanche ai tempi della "rivoluzione arancione". Andando ben oltre le prospettive economiche o strategiche, l'Ucraina si è "scoperta" nella sua identità nazionale, non più solo come "Paese ex-sovietico", ma in forza di un'esperienza ventennale complessa e contraddittoria, ma allo stesso tempo "propria" e originale.

La nuova realtà che si è creata non ha ancora avuto modo di consolidarsi, e i volti "ad interim" del presidente Turchinov e del premier Yatsenjuk non sono in grado di rappresentare in modo esplicito e autorevole le dimensioni reali della vita del popolo ucraino. Si attende chiarezza dalle elezioni di fine maggio, dove si confronteranno forze legate alle nostalgie del passato, alla Russia o ai periodi di un'Ucraina da essa separata, ma anche alle oligarchie post-sovietiche, e forze nuove e più rappresentative delle istanze degli ucraini di oggi, ancora tutte da scoprire.

Non c'è dubbio che gli scontri di questi giorni stanno seguendo una escalation fortemente legata alla scadenza elettorale, per condizionarne gli esiti. In essi si continua a sventolare la bandiera piuttosto illusoria dei "filorussi" contrapposti ai "filoucraini", anche se la posta in gioco è sicuramente più complessa e meno evidente. La scissione crimeana non deve ingannare: tra la penisola sul Mar Nero e le regioni di Donetsk, Charkov e Dnepropetrovsk c'è una differenza profonda. La Crimea non è mai stata un territorio veramente "misto"; è una terra sostanzialmente russa, in cui era anticamente insediata la parte più significativa dell'Orda d'oro dei tartari invasori, oggi ridotti a minoranza residuale e dissidente. Nell'Ucraina orientale convivono russi e cosacchi, turchi e greci, ucraini e polacchi, in proporzioni diverse e incoerenti tra loro, per non parlare della città di Odessa, teatro dell'episodio più tragico e increscioso degli ultimi conflitti; il grande porto di Odessa è il "termine finale" della grande diaspora europea degli ebrei e della cultura yiddish, che a sua volta fu all'origine del nuovo esodo nell'attuale Israele.

Non si possono spiegare le violenze di Slovjansk, Donetsk e Odessa soltanto come provocazione delle milizie spontanee, in cui certamente agiscono numerosi spetsnaz provenienti dalla Russia, o come eccessi d'interventismo del governo provvisorio di Kiev, deciso a imporre un ordine nuovo ancora piuttosto improbabile. Sono scontri d'identità in cerca della propria ipostasi, di anime in cerca del corpo, sia esso lo stato della Russia o dell'Ucraina, la mitica Rus' del passato o una nuova federazione di regioni più o meno autonome. Non serve gettare la croce sull'uno o sull'altro governante, neanche sulle minacciose espressioni di Putin o sulla politica delle sanzioni di Obama, che appaiono più che altro mosse scontate di un gioco delle parti, operato da potenze mondiali ancora piuttosto incapaci di comprendere gli eventi ucraini. Ancor più smarrita appare la comunità europea, timorosa di dover pagare uno scotto troppo alto per una crisi che non riesce veramente a sentire come propria, pur essendo sul nostro territorio continentale.

L'appello di Papa Francesco, che invoca lo spirito di fraternità e di pace, deve essere riempito di contenuti da chi vive fianco a fianco, come persone e come popoli, come culture e come religioni e Chiese. L'Ucraina, orientale e occidentale, riguarda tutti, europei e cristiani, turchi ed ebrei: in nome di che cosa ci sentiamo oggi fratelli su questa terra?

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