30/06/2007, 00.00
VATICANO – CINA
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Il Vaticano alla conquista della Cina che cambia

Per decenni il dialogo diplomatico è stato inesistente; oggi vi sono segni di apertura. Mentre nella Repubblica popolare scoppia una rinascita religiosa, le Associazioni Patriottiche cercano di mantenere il loro potere ideologico ed economico sulle chiese. Un’analisi sulla storia dei rapporti diplomatici fra Santa Sede e Pechino.
Roma (AsiaNews) - I rapporti con la Cina sono nella mente di Benedetto XVI fin dai primi giorni del suo pontificato. A poche settimane dalla sua elezione, nel suo primo discorso al Corpo diplomatico (12 maggio 2005), egli si è rivolto “anche alle nazioni con cui la Santa Sede ancora non intrattiene rapporti diplomatici”. In quell’occasione egli ha pure tracciato il quadro di una possibile relazione diplomatica con la Repubblica popolare, chiedendo non privilegi per la Chiesa, ma solo “condizioni di libertà e di azione per la sua missione” per “offrire la sua collaborazione per la salvaguardia della dignità di ogni uomo ed il servizio del bene comune”. Anche all’annuncio mesi fa della Lettera ai cattolici cinesi, pubblicata oggi, il Vaticano ha sottolineato il desiderio di approfondire un “dialogo rispettoso e costruttivo con le Autorità governative, per superare le incomprensioni del passato”, auspicando “di pervenire a una normalizzazione dei rapporti ai vari livelli”.
 
La stessa posizione è stata propugnata da Giovanni Paolo II che, nei suoi 27 anni di pontificato ha dedicato oltre 30 discorsi alla “grande nazione cinese” e alla Chiesa in Cina, offrendo dedizione e servizio alla società e domandando in cambio solo la libertà religiosa (e quindi di nominare i vescovi). Proprio la morte del papa polacco – “colpevole” agli occhi di Pechino di aver fatto crollare il comunismo in Russia e nell’Europa dell’est – ha generato una nuova fase nei rapporti fra Cina e Santa Sede.
 
Attraverso incontri molto discreti fra il Vaticano e l’ambasciata cinese presso lo stato italiano, si era giunti a concordare che alcuni vescovi cinesi partecipassero al Sinodo sull’Eucarestia e che le suore di Madre Teresa aprissero una casa per anziani e poveri in Cina. Nulla di tutto ciò si è verificato: i 4 vescovi invitati, non hanno mai ricevuto il permesso di lasciare il Paese; le suore, benché invitate ufficialmente, non hanno mai ricevuto (almeno finora) il visto per stabilirsi in Cina, a Qingdao.
È comunque innegabile una maggiore volontà e apertura da parte di Pechino. Tanto che nel 2006, dopo la visita di una delegazione vaticana in Cina, il governo ha promesso che avrebbe bloccato le ordinazioni episcopali illecite volute dall’Associazione Patriottica e che avevano irritato la Santa Sede, definendole “atti estremamente gravi, che offendono i sentimenti religiosi di ogni cattolico in Cina e nel resto del mondo….conseguenza di una visione della Chiesa, che non corrisponde alla dottrina cattolica”.
 
I nuovi passi di distensione devono però fare i conti con l’Associazione patriottica, l’organismo del governo che da 50 anni controlla la Chiesa cattolica e vuole costituire una comunità cristiana indipendente dal Vaticano. In una Cina che negli ultimi 20 anni è divenuta una grande potenza economica capitalista, l’Ap – e il ministero per gli Affari religiosi – rimangono feudo di una fazione stalinista che frena ogni spiraglio di libertà per motivi ideologici ed economici, gestendo essi – e dilapidando per fini privati - i beni della Chiesa.
 
Certo il Vaticano non è più condannato come “il cane randagio del capitalismo occidentale”, come negli anni ’50; ormai nelle chiese ufficiali – riconosciute dal governo – si prega per il papa nelle messe, ma sulle nomine dei vescovi e la gestione dei beni della Chiesa, l’Ap non transige.
Per questo, mentre nel Partito, negli ultimi anni, si sono alzate voci a favore della libertà religiosa, l’Ap ha fatto di tutto per bloccare ogni segno di avvicinamento fra Cina e Vaticano. È avvenuto nel 2006, con le ordinazioni episcopali illecite; è avvenuto nel 2000 con la campagna contro la canonizzazione dei martiri cinesi, l’ordinazione (anche questa illecita) di 7 vescovi, l’arresto di vescovi e sacerdoti sotterranei.
 
Il punto è che l’attività dell’Ap trova sempre più resistenza nei vescovi e nei fedeli. Dopo la Rivoluzione culturale – in cui vescovi patriottici e sotterranei si sono incontrati negli stessi lager e oggetto della stessa persecuzione – e dopo il massacro di Tiananmen dell’89, che ha segnato la fine della stima verso il Partito comunista, sempre più vescovi nominati dal governo hanno domandato in segreto di poter essere riconciliati con il papa. Grazie all’opera magnanima di Giovanni Paolo II ormai si può dire che Chiesa ufficiale e Chiesa sotterranea sono profondamente unite.
Le ruberie e le violenze contro la Chiesa trovano sempre più suore, preti, vescovi che dimostrano, scrivono, denunciano membri dell’Ap e del Partito, la cui corruzione manda in frantumi l’idea della “società armoniosa” tanto cara ad Hu Jintao.
 
L’ultima spiaggia dell’Ap e del Partito (o una parte di esso) è quella di accusare il Vaticano di avere rapporti con Taiwan. Per decenni la Cina ha usato il disco rotto delle due “pre-condizioni” per ogni dialogo diplomatico con la Santa Sede: non interferire negli affari interni della Cina, usando il manto della religione; rompere i rapporti con Taiwan. Che la rottura con Taiwan fosse un pretesto senza spessore, è divenuto evidente nel ’99 quando il card. Sodano, allora segretario di stato, ha ricordato al mondo che l’ambasciata vaticana a Taipei era in realtà quella di Pechino e che il Vaticano sarebbe stato disposto a ritornare in Cina “non domani, ma stanotte”. Fu infatti Mao Zedong a rifiutare la presenza del nunzio Antonio Riberi nella Repubblica popolare appena fondata e ad espellerlo dalla Cina nel 1951. Solo nel 1952, e dopo molte tergiversazioni, aspettando sempre segnali da Pechino, l’arcivescovo Riberi, si trasferì a malincuore a Taiwan.
 
L’altra “pre-condizione” rimane invece il vero ostacolo. Nella “non interferenza” gli ideologi del Partito comprendono anche le nomine dei vescovi e l’attività dell’Ap.
Il futuro dei rapporti diplomatici dipende perciò dalla concezione che la Cina si è fatta della libertà religiosa. Ancora nell’82 un documento segreto del Pcc voleva distruggere le religioni e costruire una chiesa indipendente e autonoma da Roma. Nel ’99, mentre vi sono segnali di ripresa di dialoghi diplomatici, un altro documento segreto del Pcc afferma che bisognava sottomettere tutti i vescovi e i sacerdoti sotterranei all’obbedienza sotto l’Ap, su minaccia di prigione o di isolamento.
 
A favore di uno svolgimento positivo dei rapporti vi è il pragmatismo di Hu Jintao e del suo gruppo, che lavora per una modernizzazione della Cina e per un’immagine gloriosa della nazione, da presentare alle Olimpiadi del 2008. I rapporti col Vaticano sarebbero il coronamento della nuova immagine della Cina nel concerto mondiale. A favore di un’involuzione vi è l’anarchia e la corruzione dei membri del Partito che remano ognuno per suo conto nel selvaggio sviluppo economico cinese, cercando di conservare privilegi e controlli.
 
Ma intanto, la società cinese è ormai cambiata: centinaia di rivolte e manifestazioni contro la corruzione scuotono ogni giorno molte province cinesi e la religione, invece che essere seppellita come “oppio del popolo”, guadagna sempre più aderenti anche fra i delusi membri del Partito. E forse sarà proprio la religione a salvare la Cina dallo sfascio e dal crollo.
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