18/01/2007, 00.00
CINA
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Si estinguono i pesci del Fiume Giallo

Sparite oltre un terzo delle specie, il pescato già diminuito del 40%. Sono inquinate il 10% delle terre agricole e occorre distruggere i raccolti. Esperti: il danno per inquinamento è pari alla crescita economica avvenuta in 30 anni e può strozzare lo sviluppo del Paese. Seconda parte del dossier sull’inquinamento.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Si sono estinte in pochi anni un terzo di tutte le specie di pesci del Fiume Giallo, per inquinamento, scarsità d’acqua, grandi dighe. E secondo fonti ufficiali, in Cina l’inquinamento causa danni almeno pari alla crescita economica avvenuta in 30 anni.

Secondo fonti ufficiali del ministero dell’Agricoltura, “il Fiume Giallo ha sempre ospitato oltre 150 specie di pesci, ma un terzo sono ora estinte, comprese alcune molto importanti”. La quantità del pescato nel Fiume, che era di 700 tonnellate annue, è ora diminuita del 40%. “Le cause principali – prosegue la fonte – sono gli impianti idroelettrici che hanno bloccato le vie di migrazione dei pesci, la minore portata d’acqua conseguente alle minori piogge, l’eccessiva pesca e il grave inquinamento”. Si stima che oltre 21 mila impianti chimici sono situati sulle rive dei fiumi e del mare e circa 11 mila lungo i soli Fiume Giallo e Yangtze. Nel 2005 il Fiume Giallo ha ricevuto 4,35 miliardi di tonnellate di scarichi idrici inquinanti, con un aumento di 88 milioni di tonnellate rispetto al 2004. Il 12 dicembre le autorità provinciali hanno detto che una cartiera a Lanzhou (Gansu) ha scaricato 2.500 tonnellate al giorno di acqua inquinata nel Wanchuan Creek, tributario del Fiume Giallo. Per giorni oltre 40 km. del fiume sono stati di color mattone e hanno esalato gas maleodoranti e irritanti.

Il Fiume Giallo, lungo 5.464 km., fornisce acqua a oltre 155 milioni di persone e irriga il 15% delle terre agricole della Cina. Le sue frequenti inondazioni lo hanno fatto chiamare “il dolore della Cina”, ma ora ha periodi di secca e nel 2006 ha toccato il minimo storico. La scorsa estate la siccità ha colpito oltre 17 milioni di persone nella Cina sud occidentale e ha distrutto numerose piantagioni. Si calcola che almeno il 10% delle coltivazioni di grano richiedano fonti d’acqua aggiuntive alle attuali, cosa che si ritiene non potrà sostenersi a lungo.

La grave situazione dei fiumi, gli scarichi industriali e le piogge acide (nel solo 2005 Pechino ha ammesso emissioni per 26 milioni di tonnellate di biossido di zolfo) hanno anche causato l’inquinamento di circa il 10% di 1,2 milioni di kmq di terre agricole, secondo dati ufficiali dell’Amministrazione per la protezione ambientale dello Stato (Sepa). Mentre decine di milioni di cinesi vivono sotto la soglia della povertà (con meno di un dollaro al giorno), secondo dati ufficiali ogni anno si distruggono circa 12 milioni di tonnellate di prodotti agricoli contaminati da metalli.

Ora il governo cerca di eliminare l’inquinamento, ma i costi sono immensi. Secondo Pan Yue, vice direttore della Sepa, i problemi causati dall’inquinamento costano al Paese tra l’8 e il 13% del Prodotto interno lordo (tra 181 e 294 miliardi di dollari con un Pil 2005 di 2.260 miliardi). “Il 2006 – dice – è stato l’anno peggiore per la situazione ambientale in Cina. Il problema ambientale rischia di strozzare lo sviluppo sociale ed economico”. Nel 2006 la Sepa ha ricevuto 600mila denuncie di fatti inquinanti.

Pan osserva che i danni per l’inquinamento sono all’incirca pari all’incremento economico degli ultimi 30 anni. In 30 anni la Cina ha raggiunto uno sviluppo che in Occidente ha richiesto 100 anni, ma ha anche avuto i danni ambientali altrove avvenuti in un secolo. Ma mentre in Occidente il Pil annuo pro capite ha raggiunto 10 mila dollari, quello cinese è pari a circa 3 mila dollari, peraltro distribuito in modo molto iniquo tra grandi città e campagne, tra imprenditori e migranti. (PB)

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