08/05/2009, 00.00
VATICANO-GIORDANIA
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Papa: la Chiesa ha contribuito e vuole contribuire alla pace in Medio Oriente

di Franco Pisano/inviato
Ad Amman, prima tappa del suo viaggio in Terra Santa, Benedetto XVI parla di “alleanza tra il mondo occidentale e quello musulmano" e loda il ruolo della Giordania che rispetta la libertà religiosa, favorisce il dialogo e frena l’estremismo.
Amman (AsiaNews) - La preghiera, la formazione delle coscienze e “parlare alla ragione” per aiutare a capire “ciò che serve veramente per la pace”. E’ il contributo che la Chiesa cattolica ha dato e vuole continuare a dare al Medio Oriente travagliato e che Benedetto XVI indica parlando con i giornalisti sull’aereo che lo porta ad Amman, in Giordania, prima tappa del suo primo viaggio da papa in Terra Santa. “Proprio perché non siamo un potere politico – osserva – possiamo aiutare a capire e vedere i criteri, ciò che serve veramente per la pace”. “L’abbiamo fatto in passato, vogliamo farlo in futuro”.
 
La pace è il primo problema del Medio Oriente e diviene naturalmente centrale nelle domande che vengono poste al Papa. “Noi – dice – non abbiamo potere politico, ma forza spirituale. E questo può servire”. Poi indica tre “strumenti” con i quali la Chiesa può contriibuire alla pace. In quanto credenti, in primo luogo la preghiera, “è una vera forza”, “Dio ascolta” e “può agire nella storia”. In secondo luogo “cerchiamo di contribuire alla formazione delle coscienze, che è la capacità dell’uomo di capire la verità”. E poi “parliamo alla ragione”, per “aiutare a capire i veri criteri”.
 
Il ragionamento del Papa si allarga al dialogo tra le religioni, “Con gli ebrei abbiamo la stessa radice, gli stessi libri”, ma duemila anni di tradizioni e linguaggio differenti: “Le stesse parole hanno significati diversi”, “nascono ovviamente malintesi”. Bisogna allora “sforzarsi per capire il linguaggio dell’altro”. Questo aiuterà alla comprensione, anzi “all’amore reciproco”. E’ un ragionamento che vale anche per l’islam. Anzi Benedetto XVI ricorda di essere stato cofondatore di una fondazione per il dialgo a tre voci, che promosse anche la pubblicazione dei tre libri sacri.
 
Di “alleanza di civillà tra il mondo occidentale e quello musulmano”, oltre che di pace, libertà religiosa e dialogo parla anche al suo arrivo nella capitale giordana, accolto da re Abdullah II e dalla regina Rania, quando loda l’atteggiamento del Paese - islamico - che permette ai cattolici di edificare luoghi di culto. “La libertà religiosa - commenta - è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Madio Oriente, ma in ogni parte del mondo”.
 
Il Papa loda la Giordania, il suo ruolo politico per la pace, il rispetto per la libertà religiosa e anche “nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’islam”. Il luogo stesso in cui parla, in certo modo gli dà ragione. L’aeroporto "Queen Alia", dove è atterrato l’aereo papale, è lo stesso ove, il 20 marzo 2000, Papa Giovanni Paolo II ricevette il benvenuto da parte dell’attuale re. Lo stesso era accaduto il 4 gennaio 1964 con Papa Paolo VI. Allora regnava re Hussein, padre dell’attuale Abdullah II. Il re scomparso viene ricordato da Benedetto XVI – accolto da un lunghissimo applauso - per formulare l’augurio che “il suo impegno per la soluzione dei conflitti della regione” possa “promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente”. Re Hussein stette più volte in Vaticano, una delegazione della Santa Sede ha preso parte, l’8 febbraio 1999, ai solenni funerali del monarca e l’attuale re ha partecipato alle esequie di Giovanni Paolo II (8 aprile 2005), accompagnato dalla regina Rania. "Rendo omaggio - ha detto in quell’occasione - al grande contributo di Sua Santità nella diffusione della tolleranza, del dialogo e dei diritti umani nel mondo, e all'avvicinamento dei seguaci di diverse religioni".
 
“Il regno di Giordania – dice oggi Benedetto XVI – è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace in Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo interreligioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq e cercando di tenere a freno l’estremismo”. Anche qui il riferimento non è casuale: questa è la patria del principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, consigliere del re e promotore della Lettera intitolata “Una parola comune tra noi e voi” e detta dei 138, dal numero dei “saggi” musulmani che l’hanno firmata. “La nostra condizione umana, semplice e condivisa – dice il re – ci lega alla interdipendenza. Ma le radici della comprensione, per noi credenti nell’Unico Dio, sono ancora più profonde. Risiedono infatti nel comandamento espresso nelle Sacre scritture di musulmani, cristiani ed ebrei: ama Dio e il prossimo tuo. Sono principi fondamentali e nscindibili”.
 
E’ un buon inizio per un dialogo che, in questi giorni, il Papa cercherà di portare avanti.
 
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