26/01/2005, 00.00
IRAQ
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Vescovo di Kirkuk: Votare è un dovere nazionale e religioso

Mons. Sako: "Nelle nostre messe diciamo di andare a votare. Le elezioni sono una cosa immensa e nuova". Al Jazeera e Al Arabiya danno notizie false che spingono al fanatismo.

Kirkuk (AsiaNews) – Si avvicina il 30 gennaio, giorno delle elezioni in Iraq. Un evento che il terrorismo cerca di bloccare a colpi di attentati e minacce: l'ultima, ieri, quella del terrorista al-Zarqawi: "Tiratori sono pronti ad eliminare gli apostati che si recheranno nei covi elettorali".

Negli ultimi tempi i terroristi non hanno risparmiato i cristiani, bersagliati con bombe nelle chiese e omicidi mirati. L'ultimo avvertimento, il sequestro di mons. Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, che – una volta liberato – ha chiesto agli Stati Uniti "un piano preciso di ritiro dall'Iraq".

Per comprendere meglio la situazione dell'Iraq alla vigilia delle elezioni, AsiaNews ha parlato al telefono con mons. Louis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk.

Mons. Sako si dichiara favorevole in modo netto delle prossime elezioni di gennaio: "Durante le messe, nelle omelie, diciamo alla gente di andare a votare": il perché è scritto in un documento che i cristiani di Kirkuk hanno sottoscritto insieme: "Votare è un dovere nazionale e religioso per contribuire alla nascita di un Iraq nuovo, per tutti, capace di vivere e svilupparsi". Il voto di domenica prossima, secondo il vescovo iracheno, è "una cosa immensa e nuova" perché per la prima volta gli iracheni potranno "scegliere in maniera libera i loro capi".

Ritiene significative le elezioni del 30 gennaio, malgrado i limiti che porrà la violenza di questi giorni?

Sì, perché il governo attuale è provvisorio, ma dopo le elezioni sarà frutto di una scelta della gente. Gli iracheni hanno la possibilità di indicare i loro capi, quelli che vogliono loro. Le elezioni sono una cosa immensa e nuova. Durante gli ultimi 50 anni non è mai successo: prima a causa di scontri e rivoluzioni, poi per 35 anni di regime. Non c'è mai stata libertà di espressione. Ma adesso tutto è possibile: se ci sono persone e partiti che discutono e si scontrano, questo avviene perché sono liberi di farlo. Ora gli iracheni devono imparare a dialogare in modo civile. Ma il popolo iracheno non è mai stato educato alla convivenza, ha sempre vissuto in mezzo alla violenza: 3 guerre, un regime, 13 anni di embargo. Per questo oggi la libertà non viene usata in maniera responsabile e sorgono problemi.

Quanta gente potrebbe recarsi alle urne domenica prossima?

Qui i telegiornali parlano dell'80%. Certo, c'è gente che ha paura per le minacce, ma io dico che c'è una condizione per arrivare alla normalità, e questa condizione sono le elezioni. Posso dire che domenica tanta gente andrà alle elezioni a votare.

In Occidente, sui giornali e in tv, non sembra esserci molta simpatia per le elezioni irachene: come giudica questo scetticismo?

Proprio ieri il Papa ha chiesto ai media di aiutare la gente a capire la realtà. Il guaio che stiamo vivendo in Iraq sono i media: vengono scritte e trasmette tante bugie e provocazioni. Basta pensare ad Al Jazeera e Al Arabiya che danno tante notizie false in nome di un vero fanatismo, condannato dagli stessi capi musulmani iracheni. Queste tv diffondono una continua provocazione alla violenza contro gli americani e pure contro gli iracheni. Su questi media terrorismo e resistenza vengono mescolati, ma per me c'è una chiara differenza. La resistenza è una cosa nobile; ma due giorni fa è esplosa un'autobomba a un matrimonio: ci sono stati 20 morti. Mi chiedo: è resistenza questa? Quelle 20 vittime erano iracheni, uomini e donne innocenti: è stato un atto di resistenza? O lo è attaccare una chiesa o una moschea? 

Mons. Casmoussa, il vescovo di Mosul sequestrato la scorsa settimana, dopo la sua liberazione ha chiesto il ritiro degli americani. Cosa ne pensa?

Credo che mons. Casmoussa abbia detto così perché ha presente la sua situazione a Mosul: lì quasi tutta la città, a grande maggioranza sunnita, è contraria alla presenza degli Usa. Ma se gli americani vanno via oggi dall'Iraq ci sarà la guerra civile fra curdi, arabi, sunniti, sciiti, musulmani, cristiani. Questo è chiaro. Per questo è meglio se gli americani non partono adesso: tra poco ci sarà un nuovo governo nazionale, si sta formando un esercito e un corpo di polizia; piano piano si sta realizzando un progetto di rinascita, che però non avviene in maniera magica. Gli Usa devono restare finché gli iracheni potranno prendere in mano loro il comando della nazione. Adesso non ne sono capaci, non ci sono le strutture idonee.

Qual è la situazione dei cristiani iracheni?

Dipende da città a città. A Mosul è molto difficile, perché i sunniti sono la maggioranza della popolazione. E sono contrari alle elezioni perché, con la caduta del regime di Saddam, hanno perso il potere. A Mosul qualsiasi persona può fare sequestri per soldi o vendetta, non c'è polizia né sicurezza. Ma a Baghdad, a Bassora, nel sud, come anche qui a Kirkuk, nel Kurdistan, la situazione è normale. I problemi sono nel centro, nella zona sunnita. Tutto il popolo iracheno è cosciente che i cristiani formano un elemento essenziale della società irachena. Sono una parte del patrimonio iracheno e della storia del Paese.

I cristiani come si preparano alle elezioni?

Nelle messe abbiamo parlato delle elezioni e invitato i cristiani a votare. L'altro giorno qui a Kirkuk tutti i rappresentanti delle Chiese hanno sottoscritto una dichiarazione comune per incoraggiare i cristiani ad andare a votare. L'abbiamo consegnata al sindaco e ai rappresentanti della provincia: è stata accolta bene e con favore. È un appello agli iracheni a recarsi alle urne perché votare è "un dovere nazionale e religioso per contribuire alla nascita di un Iraq nuovo, per tutti, capace di vivere e svilupparsi". Non è questione di scegliere una lista o l'altra: abbiamo detto alla gente di andare a votare perché anche se la situazione non è perfetta, il voto è un passo importante verso la democrazia e la libertà. Le elezioni sono la strada giusta per una società capace di progresso. Ci sono partiti cristiani in corsa sia per le elezioni delle province che per l'Assemblea nazionale. Politici cristiani sono presenti anche in altri partiti, ad esempio quelli curdi.

A chi andrà il voto cristiano?

Noi diciamo di votare per coloro che sono capaci di dirigere il Paese in una maniera giusta e democratica. I cristiani voteranno secondo la loro coscienza. Il fatto nuovo è che i cristiani non sono assenti, ci sono, e questo rassicura per un avvenire migliore. La Chiesa deve aiutare la gente a rimanere, incoraggiarla a impegnarsi nella ricostruzione, favorire il dialogo etnico e culturale.

Qual è l'Iraq che vuole raccontare ai lettori di AsiaNews?

Adesso c'è tanta libertà: si pubblicano molti giornali e si fanno discussione politiche. Si costruiscono le case, c'è lavoro. Qui a Kirkuk, ma anche a Baghdad, la gente va in giro fino a mezzanotte. È vero, ci sono uccisioni per soldi o per questioni politiche. Ma sa che prima [con Saddam] le famiglie non potevano comprarsi la macchina perché costava troppo e pochi avevano i soldi per farlo? E adesso ce l'hanno tutti, al punto che dobbiamo tenerle in garage perché ce ne sono troppe per strada!

Cosa può fare l'Occidente per il buon svolgimento del voto?

Incoraggiare la gente ad andare a votare e lasciare da parte tutte quelle notizie cattive che recano disturbo. I telegiornali riferiscono subito se c'è un attentato o qualche morto, quando invece ci sono così tanti fatti positivi da raccontare, ma sui quali nessuno dice niente. Non in tutto l'Iraq la situazione è drammatica come a Mosul, la mia città: nell'80% del Paese la vita è quasi normale. Inoltre bisogna incoraggiare i sunniti a votare perché uscire dal dibattito pubblico è comunque perdere. È importante che essi rimangano a lottare in modo politico e democratico per una società civile, nella quale gli iracheni avranno più libertà. (LF)
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